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Ancora sul caso Eternit: la “giustizia” e il sacrificio dei diritti

Elisa Scaroina

Archivio Penale pp. 877-903
DOI 10.12871/97888674161109 | © Pisa University Press 2016
Pubblicato: 20 December 2015


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Riassunto

A fronte della sentenza definitiva della Corte di cassazione sul caso Eternit e successivamente ad una nuova richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Stephan Schmidheiny per il reato di omicidio volontario aggravato, il G.u.p. ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., il quale, ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem, ne limiterebbe il campo all’esistenza del medesimo “fatto giuridico” invece che all’esistenza del medesimo “fatto storico”. Nel presente contributo, l’Autrice analizza come l’art. 649 c.p.p., in realtà, secondo una sua interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, già permette la valorizzazione della nozione sostanziale di “medesimo fatto” e il ricorso ad un approccio concreto. Nonostante la giurisprudenza nazionale sia ormai consolidata e risulti essere espressione del “diritto vivente univoco”, il considerare come elementi costitutivi del “fatto” componenti di natura strettamente giuridica deriva dalla Costituzione, prima ancora che dalla CEDU.


Sommario

1. Strascichi (inevitabili?) di una dolorosa vicenda umana e giudiziaria. - 2. La “giustizia” ad ogni costo: il rischio del bis in idem e lo “spauracchio” della Corte EDU. - 3. Il “diritto vivente” s’intromette nel (già complesso) dialogo tra le Corti. - 4. Principio del ne bis in idem e dogmi interpretativi interni. Il concorso formale di reati e la nozione di “medesimo fatto” ai sensi dell’art. 649 c.p.p. - 5. Conclusioni (provvisorie).

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