Pubblicato in: Giurisprudenza di legittimità

Giudicato aperto - Cass., Sez. III, 3 agosto 2017 (c.c. 11 luglio 2017)

La terza Sezione ha sancito che «Rientra tra i poteri del giudice dell'esecuzione, adito per la rideterminazione della pena a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d. Igs. n. 42 del 2004, dichiarare l'estinzione per prescrizione del reato, riqualificato come contravvenzione ai sensi dell'art. 181, comma 1, d. Igs. n. 42 del 2004, oggetto della sentenza definitiva di condanna, qualora la prescrizione sia maturata in pendenza del procedimento di cognizione, e fatti salvi i rapporti ormai esauriti». In sede motiva si legge, con specifico riferimento ai poteri manipolativi del giudicato riconosciuti al giudice dell’esecuzione, che «dalla "flessibilizzazione" del giudicato registrata nella fase esecutiva, sembra emergere una duplice dimensione del giudicato penale: la prima relativa all'accertamento del fatto, realmente intangibile, non essendo consentita, al di fuori delle speciali ipotesi rescissorie, una rivalutazione del fatto oggetto del giudizio, e tendenzialmente posta a garanzia del reo (presunzione di innocenza e divieto di bis in idem); la seconda relativa alla determinazione della pena, che, sprovvista di reale copertura costituzionale (o convenzionale), appare maggiormente permeabile alle "sollecitazioni" provenienti ab extra rispetto alla res iudicata. In altri termini, se il "giudicato sull'accertamento" è, e resta, intangibile, non consentendo rivalutazioni del fatto, il "giudicato sulla pena" è permeabile ad eventuali modifiche del trattamento sanzionatorio, purché in bonam partem, essendo espressione di un interesse collettivo, quello della certezza dei rapporti giuridici esauriti, suscettibile di bilanciamento con altri principi costituzionali e convenzionali, quali la libertà personale, la legalità della pena, la finalità rieducativa, il principio di uguaglianza, che, nella loro dimensione individuale, sono prevalenti rispetto alla dimensione collettiva sottesa all'esigenza di certezza dei rapporti giuridici». Ed infatti: «1) per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale relativa al trattamento sanzionatorio, è necessario rimuovere gli effetti che dalla norma in questione discendono; 2) tale operazione, investendo principi fondamentali quale quello della libertà personale, impone, ai sensi dell'art. 30, terzo e quarto comma, legge n. 87 del 1953, di rivisitare il giudicato di condanna in tutti i casi in cui il rapporto esecutivo non sia esaurito; 3) in tali casi il giudicato, da una parte, deve essere "mantenuto", quanto ai profili relativi alla sussistenza del fatto, alla sua attribuzione soggettiva e alla sua qualificazione giuridica, ma, dall'altra, deve essere "riconformato", quanto ai profili sanzionatori; 4) il compito di incidere sul giudicato ai fini indicati spetta al giudice della esecuzione che “non si limita a conoscere delle questioni sulla validità e sull'efficacia del titolo esecutivo, ma è anche abilitato, in vari casi, ad incidere su di esso (artt, 669, 670, comma 3, 671, 672 e 673 cod. proc. pen.)” e che, quindi, può intervenire sia quando l'intervento si risolva in una mera operazione matematica di tipo automatico, sia quando la rimozione dei perduranti effetti derivanti dalla norma dichiarata incostituzionale richieda l'esercizio di poteri valutativi; 5) il limite all'opera di rideterminazione della pena da parte del giudice della esecuzione, che può fare uso di poteri istruttori, è costituito da quanto già accertato dal giudice di cognizione per ragioni di merito, cioè da quanto accertato non facendo applicazione della norma dichiarata incostituzionale».

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