Mandato di arresto europeo/Diritto alla libertà e alla sicurezza – Corte di Giustizia U.E., Sez. I, 12 febbraio 2019, C 492/18 PPU


La Corte di Giustizia dell’U.E., con sentenza del 12 febbraio 2019, è tornata ad affrontare uno degli aspetti più problematici del rapporto di “convivenza” tra l’ordinamento europeo e l’ordinamento nazionale, vale a dire il valore e l’efficacia della decisione quadro, quale fonte del diritto comunitario, allorquando subentrino possibili contrasti con la normativa nazionale.
La domanda di pronuncia pregiudiziale, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, è stata presentata nell’ambito dell’esecuzione, nei Paesi Bassi, di un mandato d’arresto europeo emesso il 12 giugno 2017 dalle autorità competenti del Regno Unito.
In particolare, la quaestio iuris, sottesa alla causa, attiene all’obbligo o meno da parte dell’autorità giudiziaria di sospendere la misura di custodia del ricercato allo scadere del termine della procedura di consegna nell’ambito dell’esecuzione di un mandato di arresto europeo.
A tale proposito, la Corte U.E. ha rilevato che, ai sensi dell’art. 12 della decisione quadro 2002/584, quando una persona viene arrestata sulla base di un mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione decide se la persona debba o meno rimanere in stato di custodia conformemente al diritto interno dello Stato membro dell’esecuzione e la rimessa in libertà provvisoria di detta persona è possibile solo alla condizione che l’autorità competente dello stesso Stato membro adotti le misure ritenute necessarie a evitare che la medesima si dia alla fuga (§ 62).
Proseguendo, l’analisi testuale della normativa nazionale ha condotto i giudici europei a constatare che la decisione quadro 2002/584 osta al sistema normativo nazionale, in quanto l’art. 22, par. 4, dell’OLW prescrive che misura di custodia del ricercato è, in linea di principio, ipso facto sospesa per il solo effetto dello spirare di un termine di 90 giorni dal suo arresto (§§ 49-50).
La divergenza testuale tra le due disposizioni normative ha permesso alla Corte di giustizia di addentrarsi nel “cuore” della materia, con i dovuti accorgimenti.
La forza vincolante della decisione quadro, tuttavia priva dell’efficacia diretta nell’ambito dell’ordinamento interno, comporta, in capo alle autorità nazionali, ivi compresi i giudici nazionali, un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale. Cosicché, nell’applicare il diritto interno, il giudice è tenuto a farlo, per quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro di cui trattasi, al fine di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima (§ 67-68).
Nel procedimento in esame, è stata constatata non solo l’incompatibilità testuale tra la disposizione nazionale e la fonte europea, ma ancor di più la divergente interpretazione della normativa interna da parte dei giudici nazionali al fine di conformarsi al diritto dell’U.E. (§75)
Il suddetto contrasto interpretativo viola i requisiti di certezza, di prevedibilità e di accessibilità richiesti dalla giurisprudenza europea, poiché non consente, appunto, di prevedere la durata del mantenimento in custodia di un ricercato nell’ambito di un mandato d’arresto europeo emesso nei suoi confronti (§ 76).
Ed è proprio qui che va posto il limite all’obbligo per il giudice nazionale di far riferimento al contenuto della decisione quadro, poiché quest’ultima in tanto può essere recepita, fermo restando la competenza dello Stato membro in merito alla forma e ai mezzi, in quanto la stessa non pregiudichi le garanzie predisposte a tutela della libertà personale sancite dall’art. 6 della Carta e dall’art. 5 C.E.D.U.