Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Soggetti/Giudice – Corte cost., n. 18 del 2017

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Fonte immagine: www.cortecostituzionale.it

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, co. 2, c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Napoli, nella parte in cui tale disposizione non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare del giudice che, avendo ravvisato, nel corso della stessa udienza preliminare, un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell’imputazione, invito al quale il pubblico ministero abbia aderito.

Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe gli artt. 3, 24 e 111 Cost., giacché – allo stesso modo dell’ordinanza, del tutto analoga per contenuti e finalità, che dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, co. 2, c.p.p. – l’atto in questione implicherebbe una piena delibazione del merito della regiudicanda, idonea a compromettere l’imparzialità e la serenità di giudizio del giudice che l’ha adottato.

Secondo i Giudici della Consulta, il ragionamento del rimettente non tiene conto di una circostanza decisiva. Affinché possa configurarsi una situazione di incompatibilità, è necessario che la valutazione “contenutistica” sulla medesima regiudicanda si collochi in una precedente e distinta fase del procedimento, rispetto a quella della quale il giudice è attualmente investito. È del tutto ragionevole, infatti, che, all’interno di ciascuna delle fasi resti, in ogni caso, preservata l’esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare una assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (ex plurimis, sent. n. 153 del 2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ord. n. 76 del 2007, n. 123 e n. 90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999). In questa prospettiva – ha rilevato la Corte – l’invito a modificare l’imputazione rappresenta un rimedio “endofasico”: dalla sua formulazione non deriva, dunque, alcuna incompatibilità del giudice all’ulteriore trattazione della medesima fase.

Pertanto, la Consulta ha dichiarato la questione non fondata, dopo aver precisato che è vero, bensì, che, sollecitando il pubblico ministero a modificare l’imputazione per diversità del fatto, il giudice esterna un convincimento sul merito della regiudicanda: ma lo fa come momento immediatamente prodromico alla decisione che è – legittimamente – chiamato ad assumere in quello stesso contesto. La Corte costituzionale ha dunque ritenuto di escludere la configurabilità di una menomazione dell’imparzialità del giudice, atta a rendere costituzionalmente necessaria l’applicazione dell’istituto dell’incompatibilità.

A.C.