Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Depenalizzazione – Corte cost., n. 127 del 2017

La Corte costituzionale ha dichiarato: inammissibile, in riferimento all’art. 3 Cost., e non fondata, in riferimento agli artt. 25, co. 2, 76 e 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Bari in ordine all’art. 1, co. 3, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’art. 2, co. 2, l. 28 aprile 2014, n. 67), nella parte in cui stabilisce l’inapplicabilità della depenalizzazione i reati contemplati dal codice penale ad eccezione di quelli tassativamente indicati nel successivo art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 8 del 2016; inammissibile la questione di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost. sollevata dal Tribunale di Bari in ordine all’art. 8, co. 1, d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in cui prevede che le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso. Ricostruito il rapporto di subordinazione logica esistente tra le due diverse questioni aventi ad oggetto, rispettivamente, la mancata depenalizzazione dei reati del codice penale puniti con sola pena pecuniaria e l'applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative dettate per gli illeciti depenalizzati, in quanto solo l’eventuale accoglimento della prima determinerebbe l’operatività della disciplina transitoria con conseguente rilevanza della seconda, la Corte ritiene inconferente il riferimento all'art. 77 Cost. chiarendo invece, quanto all’art. 76 Cost., che la scelta di escludere dalla depenalizzazione i reati del codice puniti con pena pecuniaria, pur non trovando riscontro testuale esplicito nella legge delega (art. 2, comma 2, lett. a), non ne viola principi e criteri direttivi in quanto costituisce, piuttosto, legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest'ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale. La stessa legge delega, infatti, nel dettare direttive specifiche per i reati del codice penale (art. 2, comma 2, lettera b, della legge n. 67 del 2014) ha inserito nell'elenco delle fattispecie da depenalizzare anche taluni reati del codice puniti con la sola pena pecuniaria come se la clausola generale di depenalizzazione ad essi non dovesse proprio applicarsi, rendendo così incerto, in un passaggio chiave, il proprio contenuto normativo. L’interpretazione opposta, assunta dal giudice a quo, determinerebbe, inoltre, risultati vistosamente incongrui: da un lato, un effetto di depenalizzazione allargato a fattispecie delittuose intra codicem sanzionate con la sola multa o ammenda ma inserite in un complesso normativo organicamente deputato alla tutela di beni rilevanti; dall'altro, la mancata depenalizzazione di ulteriori fattispecie contravvenzionali, sicuramente di minore offensività, in quanto rientranti nell'elenco delle materie escluse ai sensi dello stesso art. 2, comma 2, lettera a), della legge delega n. 67 del 2014. La Corte dichiara poi inammissibile la medesima questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., sia sotto il profilo della ragionevolezza che della «discriminazione di situazioni uguali», ritenendo che, con essa, il Tribunale di Bari finisca invero col riproporre, sotto altre forme, la censura di violazione dei principi e criteri direttivi della legge delega, solo aggiungendovi l'argomento, peraltro espresso in termini assertivi ed apodittici, della pretesa irragionevolezza del diverso trattamento riservato dal decreto legislativo alle due tipologie di reati. L'esito delle descritte questioni di legittimità costituzionale conduce infine all'inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle censure sollevate, in via logicamente subordinata, sull'art. 8, co. 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, per violazione degli artt. 25, secondo comma, 76 e 77 Cost. in quanto, non versandosi in un caso di depenalizzazione, il giudice a quo non deve fare applicazione della disposizione sospettata d'incostituzionalità. (Sentenze cost. correlate: n. 278, n. 250 e n. 59 del 2016, n. 194, n. 146 e n. 98 del 2015, n. 229 del 2014, n. 237, n. 134 e n. 119 del 2013, n. 272 del 2012). D. Piva

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