In data 8 ottobre 2019, stando al comunicato stampa già diffuso, la Corte EDU ha rigettato la richiesta del Governo italiano, presentata ai sensi dell’art. 43 della Convenzione EDU, di rinvio alla Grande Camera del caso Viola c. Italia, già deciso con sentenza dalla Sezione Prima della Corte in data 13 giugno 2019, nella quale si era affermata l’incompatibilità del cd. ergastolo ostativo previsto dall’art. 4 bis della dell’Ordinamento penitenziario (L.354/1975) con l’art. 3 della Convenzione, in quanto assimilabile a trattamento inumano o degradante e in contrasto col divieto di privare una persona della propria libertà senza intervenire contemporaneamente per il reinserimento della medesima.
Nel caso di specie, il ricorrente scontava l’isolamento in regime differenziato ex art. 41-bis L. 354/1975 a seguito di condanna definitiva per reati associativi con qualifica di promotore, con mancata concessione di permessi premio per carenza del requisito della collaborazione con la giustizia ai sensi del comma 1-bis dell’art. 4-bis L. 354/1975 (come al tempo introdotto ex L. 356/1992) ritenendosi, in particolare, che, ove tale collaborazione non risulti impossibile o inesigibile (nei termini di cui alle note decisioni di Corte Cost. nn. 357/1994 e 68/1995), possa legittimamente presumersi una persistenza del legame criminale.
Né, in effetti, tale istituto aveva subito modifiche con la legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario, incorporata nella L. 23 giugno 2017, n. 103, dal cui ambito di applicazione sono stati esclusi i “casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque ... le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale” (art. 1 co. 85 lett. e).
Anzi, se da un lato la Corte Costituzionale, di recente (con sentenza n. 149/2018) aveva avuto modo di precisare, ancora una volta, l’illegittimità di disposizioni che “precludano in modo assoluto, per un arco temporale assai esteso, l’accesso ai benefici penitenziari a particolari categorie di condannati”, dall’altro essa si trova ora ad affrontare analoghe questioni di legittimità costituzionale che investono direttamente il meccanismo della preclusione assoluta di cui al comma 1 dell’art. 4-bis L. 3254/1975 nei confronti di condannati per reati aggravati dalla c.d. finalità mafiosa (ora nell’art. 416-bis1 c.p.).
Con la decisione dell’8 ottobre 2019, la Corte sembrerebbe dunque aver disconosciuto le difese del Governo - già dichiaratosi fortemente contrario alla presa di posizione della CEDU - prevalentemente incentrate sulla specificità del fenomeno mafioso e sulle connesse finalità di sicurezza pubblica, paventando, al contrario, la necessità di una riforma della pena perpetua (o quantomeno della presunzione “assoluta” di pericolosità sociale in mancanza di collaborazione con la giustizia sottesa all’ergastolo ostativo) atteso che, pur in presenza del meccanismo della revisione europea ex art. 630 c.p.p., a prescindere da eventuali interventi della Corte Costituzionale, sulla base della mera pronuncia in oggetto non potrebbe diversamente garantirsi stesso esito in casi analoghi a quello del Viola.
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