Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Incidente probatorio/Testimonianza del minorenne – Corte cost., n. 92 del 2018

Corte costituzionale

La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 398, co. 5, e 133 c.p.p., sollevata dal G.i.p. del Tribunale ordinario di Lecce, in riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 3 e 4, Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991, n. 176, nella parte in cui tali disposizioni «non prevedono che, laddove la mancata comparizione del testimone minorenne [in sede di incidente probatorio] sia dovuta a situazioni di disagio che ne compromettono il benessere, e sia possibile ovviare ad esse procedendo all’esame del minore presso il tribunale competente in relazione al luogo della sua dimora, […] possa ritenersi giustificata la sua mancata comparizione e rogarsi il compimento dell’incidente al [giudice per le indagini preliminari] del tribunale nel cui circondario risiede il minore».
La Consulta ha osservato, anzitutto, che le censure del rimettente poggiano su una visione eccessiva dell’obbligo dello Stato italiano, scaturente dalla Convenzione di New York, di accordare «una considerazione preminente» all’«interesse superiore del fanciullo» in tutte le decisioni che lo riguardano e di assicurare il suo «benessere». Ragionando in questi termini, nessun minore, vittima di determinati reati, dovrebbe essere mai assunto come testimone, posto che, per il minore vittima, il rievocare in ambito giudiziario le vicende che lo hanno coinvolto è sempre, comunque sia, fonte di marcato «disagio». In realtà, in materia – ha rilevato la Corte – occorre procedere al bilanciamento di valori contrapposti: da un lato, la tutela della personalità del minore, dall’altro, i valori coinvolti dal processo penale (quali i principi del contraddittorio, del diritto di difesa e, in questo caso, le regole sulla competenza territoriale). L’esigenza che si pone in questa materia, come ha sottolineato il Giudice delle leggi, non è quella di evitare al minore i «disagi» connessi al fatto di dover rendere testimonianza, bensì quella di preservarlo dagli effetti negativi che la prestazione dell’ufficio di testimone può produrre in rapporto alla peculiare condizione del soggetto.
La Corte, dunque, prosegue con un’analisi degli strumenti introdotti nel corso del tempo dal legislatore per la salvaguardia della personalità del minore chiamato a rendere testimonianza, precisando come gli stessi siano in grado di offrire al giudice un ventaglio di alternative sicuramente ampio e duttile. Pertanto, secondo i Giudici della Consulta, il bilanciamento tra i contrapposti valori operato dalla normativa processuale vigente non può essere reputato inadeguato sul versante della protezione del minore. Non è necessario introdurre un ulteriore strumento, quale quello congegnato dal rimettente.


A.C.