Pubblicato in: Giurisprudenza di legittimità

Mae - Corte Cass., Sez. VI, ord. 14 gennaio 2022 (dep. 19 aprile 2022)

La Corte di Cassazione ha sottoposto alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea {TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, le seguenti questioni pregiudiziali: a) «se l'art. 1, paragrafi 2 e 3, e gli artt. 3 e 4 della decisione quadro 2002/584/GAI, debbano essere interpretati nel senso che non consentono all'autorità giudiziaria dell'esecuzione di rifiutare o comunque di differire la consegna della madre con figli minorenni conviventi»; b) «se, in caso di positiva risposta a tale prima questione, l'art. 1, paragrafi 2 e 3, e gli artt. 3 e 4 della decisione quadro 2002/584/GAI siano compatibili con gli artt. 7 e 24, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di art. 8 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono la consegna della madre recidendo i legami con i figli minori conviventi senza considerare il best interest of the child».

Gennaro Gaeta


I quesiti rivestono particolare importanza sistematica sia sul metodo che nel merito.
Sui contenuti, la decisione sollecita un chiarimento della Corte di Giustizia a proposito del rapporto tra la tutela dei diritti fondamentali del minore e della madre e l’implementazione della cooperazione giudiziaria nello spazio dell’Unione; allo stesso tempo, rievoca il tema della tutela multilivello in materia di diritti della persona e doppia pregiudizialità.
Si tratta di un caso, forse emblematico, in cui la norma europea pone un problema di compatibilità con la Costituzione (artt. 3 e 31) e con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (artt. 7 e 24, § 3), anche alla luce della giurisprudenza di cui all’art. 8 C.e.d.u.
Col d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Decisione Quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, in attuazione delle delega di cui all'articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117) il legislatore ha modificato la disciplina del Mandato d’arresto europeo allo scopo di adeguarla più compiutamente a quella della Decisione Quadro, in considerazione delle criticità emerse in sede di valutazione dal gruppo di esperti del Consiglio dell’UE.
Veniva in rilievo, segnatamente, l’art. 18 l. 22 aprile 2005, n. 69 laddove prevedeva motivi di rifiuto ulteriori rispetto a quelli comunitari, tra cui, in particolare, l’esistenza di una madre con prole convivente minorenne, a fronte del rischio che lo Stato di destinazione non assicurasse modalità di detenzione assimilabili a quelle italiane, a tutela del rapporto affettivo esistente.
Il legislatore delegato, dunque, ha eliminato le cause di rifiuto supplementari rispetto a quelle europee, per cui il diritto vigente non consente più al giudice italiano di rifiutare l’espatrio della madre incinta o con prole in tenera età, anche dove ciò sia necessario a tutela dei diritti del minore, secondo il principio del c.d. best interest of child, ormai ben radicato nel diritto vivente (v., da ultimo, il Comunicato del 27 aprile 2022 con cui la Corte costituzionale ha segnalato di aver dichiarato illegittime tutte le norme del codice civile che attribuiscono automaticamente il cognome del padre, quale ulteriore e recente applicazione del principio).
La prospettiva della contemporanea lesione della Costituzione e della Carta di Nizza ha suggerito, nel caso di specie, di prediligere la strada del rinvio pregiudiziale a Lussemburgo, dando priorità alla questione interpretativa sul versante europeo rispetto a quella di legittimità costituzionale.
Nel fare ciò, la Corte regolatrice ha inteso dar seguito ad alcune aperture della giurisprudenza costituzionale che, superando la tesi della necessaria priorità del quesito sul versante costituzionale, ha ritenuto che la Corte di Giustizia può essere interpellata anche prima dell’incidente dinanzi al Giudice delle leggi, con conseguente disapplicazione della norma interna in contrasto ed estromissione del sindacato della Consulta nel caso concreto, dove il rinvio pregiudiziale abbia esito favorevole (v. Corte cost., ord. n. 117 del 2019).
Alla base di questa sistemazione del rapporto tra Corti superiori, vengono richiamate le esigenze di assicurare una leale cooperazione tra Corti nazionali in seno all’UE e di definire livelli comuni di tutela in materia di diritti fondamentali, quale obiettivo prioritario nel campo dell’armonizzazione mediante direttive.
La pregiudiziale, infatti, consentendo di conoscere quale sia lo standard di tutela europeo, assicura uniformità interpretativa nell’Unione e, inoltre, permette di evitare conseguenze più drastiche e incisive sul piano delle fonti, quale la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge di attuazione.
Pur nel rispetto della teoria dei controlimiti, viene valorizzata la maggiore praticità dello strumento del rinvio pregiudiziale, nel solco di una tesi volta al definitivo superamento della posizione precedentemente assunta dalla Consulta (sent. n. 269 del 2017) che, invece, predicava la necessaria priorità dell’incidente dinanzi a sé stessa.
In prospettiva generale, la sentenza offre un ulteriore contributo all'attuazione, sul piano interpretativo, della soglia di tutela dei diritti prevista dall'Unione e contribuisce ad assicurare, anche in punto di doppia pregiudizialità, il primato del diritto UE e la diffusione della protezione dei diritti fondamentali di matrice sovranazionale.