Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Ne bis in idem - Corte cost., n. 200 del 2016, con osservazioni a prima lettura di A. Faberi

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La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.


Nella vicenda oggetto dell’ordinanza di rimessione, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino si trovava a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio proposta nei confronti di una persona imputata di omicidio doloso per la morte da amianto di 258 persone. In relazione alla medesima condotta, l’imputato, in un precedente giudizio, era già stato prosciolto per prescrizione dai reati previsti dagli artt. 434, co. 2 (disastro doloso) e 437, co. 2, c.p. (omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro), reati che l’imputato avrebbe commesso nella sua qualità di dirigente di stabilimenti della società Eternit.


Il rimettente ha premesso di non poter applicare l’art. 649 c.p.p., che enuncia il divieto di bis in idem in materia penale, a causa del significato che tale disposizione avrebbe assunto nel diritto vivente. Vi sarebbero infatti due ordini di ostacoli: in primo luogo, per consolidata giurisprudenza si esigerebbe l’identità del fatto giuridico, secondo la triade «condotta-evento-nesso di causa» e, in secondo luogo, l’omicidio concorrerebbe formalmente con i reati indicati dagli artt. 434 e 437 c.p., quando, come è accaduto nel caso di specie, il primo e i secondi sono commessi con un’unica azione od omissione.


Il giudice a quo ha rilevato che, invece, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU ha un significato più favorevole per l’imputato, poiché è ravvisabile identità del fatto quando medesima è l’azione o l’omissione per la quale la persona è già stata irrevocabilmente giudicata (cfr. Grande Camera, sent. 10 febbraio 2009, Zolotoukhine v. Russia). E, dunque, non osterebbe al divieto di bis in idem né la diversità dell’evento conseguente alla condotta, né la configurabilità di un concorso formale di reati. Da qui, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., sollevata dal rimettente, nella parte in cui tale disposizione limita l’applicazione del principio del ne bis in idem al medesimo fatto giuridico, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che al medesimo fatto storico, con riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU.


Quanto al primo profilo di contrasto, la Consulta ha ritenuto errata la tesi del giudice torinese secondo cui la disposizione europea significherebbe che la medesimezza del fatto debba evincersi considerando la sola condotta dell’agente. Il Giudice delle leggi ha chiarito come la Convenzione europea imponga agli Stati membri di applicare il divieto di bis in idem in base ad una concezione naturalistica del fatto, ma non di restringere quest’ultimo nella sfera della sola azione od omissione dell’agente. Il diritto vivente, con una lettura conforme all’attuale stadio di sviluppo dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, impone di valutare, con un approccio storico-naturalistico, la identità della condotta e dell’evento, secondo le modalità con cui esso si è concretamente prodotto a causa della prima. Pertanto, secondo la Corte, va escluso che sussista il primo profilo di contrasto individuato dal giudice a quo tra l’art. 649 c.p.p. e la normativa interposta convenzionale, perché entrambe recepiscono il criterio dell’idem factum, e all’interno di esso la Convenzione non obbliga a scartare l’evento in senso naturalistico dagli elementi identitari del fatto, e dunque a superare il diritto vivente nazionale.


Il secondo profilo di contrasto, segnalato dall’ordinanza di rimessione, tra l’art. 649 c.p.p. e l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU concerne la regola, enucleata dal diritto vivente nazionale, che vieta di applicare il principio del ne bis in idem, ove il reato già giudicato sia stato commesso in concorso formale con quello oggetto della nuova iniziativa del pubblico ministero, nonostante la medesimezza del fatto. Al riguardo, la Consulta ha preso atto come il diritto vivente abbia saldato il profilo sostanziale implicato dal concorso formale dei reati con quello processuale recato dal divieto di bis in idem, esonerando il giudice dall’indagare sulla identità empirica del fatto, ai fini dell’applicazione dell’art. 649 c.p.p. La Corte ha, perciò, ritenuto sussistente il contrasto denunciato dal rimettente tra l’art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo. Sotto questo aspetto, dunque, la questione è stata ritenuta fondata dalla Corte delle leggi, la quale, tuttavia, non ha imposto al giudice di applicare automaticamente il divieto di bis in idem per la esclusiva ragione che i reati concorrano formalmente. Per effetto di questa pronuncia di illegittimità costituzionale, l’autorità giudiziaria sarà tenuta (di volta in volta) a porre a raffronto il fatto storico, secondo la conformazione identitaria che esso abbia acquisito all’esito del processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico posto dal pubblico ministero a base della nuova imputazione.


La Corte costituzionale ha infatti precisato che, sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico. Ove invece tale giudizio abbia riguardato anche quella persona, occorrerà accertare se la morte o la lesione siano già state specificamente considerate, unitamente al nesso di causalità con la condotta dell’imputato, cioè se il fatto già giudicato sia nei suoi elementi materiali realmente il medesimo, anche se diversamente qualificato per il titolo, per il grado e per le circostanze.


Alla luce di queste conclusioni cui è pervenuta la Consulta, nella vicenda Eternit i fatti storici sono dunque da reputarsi diversi, perché il precedente giudizio non ha riguardato l’evento morte di un certo numero di persone (per l’esattezza 72 persone), che è invece stato considerato nella richiesta di rinvio a giudizio presentata al G.u.p. di Torino. Pertanto, il nuovo procedimento Eternit potrà andare avanti, quantomeno e sicuramente per i nuovi casi di persone decedute che non furono contemplate come persone offese nel primo processo.


                                                                                              A.C.