Quale futuro per l’associazionismo penale?

Alfredo Gaito, Adelmo Manna

Cari lettori,
l’uscita della newsletter di luglio ci ricorda puntualmente ogni anno l’arrivo dell’imminente riposo estivo: un momento in cui i ritmi finalmente calano e si può trovare il tempo per dedicare le proprie riflessioni alle amenità e alle cose forse un po’ più futili e meno serie, ma non per questo meno importanti. E il pensiero corre inevitabilmente alle nostre Associazioni… quindi approfittiamo per fare il punto su quanto è successo in questa prima parte dell’anno e per ricordare a tutti noi gli impegni che ci aspettano a partire dal prossimo mese di settembre.
Per intanto, giova segnalare che gli amici dell’«Archivio penale» hanno rispettato la promessa rivolta ai lettori quanto alla pubblicazione di un supplemento corposo di quasi 900 pagine sugli aspetti maggiormente problematici delle modificazioni legislative e dei sussulti giurisprudenziali (interni e sovranazionali) che hanno scandito il trascorrere degli ultimi due anni. Mentre nuove sfide si propongono all’orizzonte, sotto l’impulso di Corte costituzionale in materia penitenziaria e Corte europea di Strasburgo in tema di giustizia penale patrimoniale e prescrizione, senza tralasciare i reiterati interventi della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in punto di ne bis in idem, in un periodo in cui il nuovo legislatore in giallo-verde stenta ad andare a regime.

Il Governo da poco in carica ha mostrato, già nel “contratto” stipulato tra i due partiti che lo formano, in materia di giustizia penale, non poche criticità quali: a) l’introduzione della legittima difesa presunta, già contenuto in un progetto di legge presentato dall’attuale sottosegretario al Ministero dell’Interno, On. Nicola Molteni; b) il progetto in esame dovrebbe poi formare oggetto di un elaborando decreto sicurezza di cui non sono ancora chiari i contenuti e gli obiettivi; c) la proposta di introduzione della c.d. pena certa ed il conseguente smantellamento dei più importanti istituti orientati alla rieducazione come, ad esempio, la sospensione con messa alla prova e l’irrilevanza penale del fatto; d) la ulteriore modifica della prescrizione che, nella visione condivisa dal Governo giallo-verde, dovrebbe azzerarsi automaticamente addirittura una volta emessa la sentenza di primo grado; e) le riforme da ultimo indicate sono c.d. a costo zero e quindi più facili ad essere varate, mentre è più difficile che lo sia la proposta, persino, di costruzione di nuove carceri.
L’attuale Governo non si è però limitato al c.d. contratto, ma ha già cominciato, con il Ministro dell’Interno in carica, in modo particolare, a mettere in atto alcuni propositi che hanno lasciato molti giuristi quanto meno perplessi, come: 1) la chiusura dei porti, con il conseguente rischio per la vita di un gran numero di immigrati seppur clandestini; 2) la schedatura dei rom, anche se da tempo cittadini italiani, che rimanda alla memoria analoghe iniziative avvenute nell’oscuro periodo fra le due guerre mondiali; 3) la minaccia di togliere la scorta a Roberto Saviano, con la “motivazione” che si recherebbe spesso all’estero, nonostante sia stato ripetutamente minacciato in aula dal clan dei Casalesi e dai narcotrafficanti.
Tutte queste problematiche, di cui alcune riguardano direttamente il diritto penale sostanziale -ma altre sicuramente lo implicano, seppure indirettamente- hanno suscitato nell’Associazione fra i professori di diritto penale un vivace scambio di idee, per dir così, che in realtà si è concretizzato in un contrasto tra coloro i quali immaginano che l’Associazione si debba occupare soltanto dei problemi all’interno delle università ed altri che invece ritengono che i professori di diritto penale, oltre ad essere tecnici di un importante ramo del diritto, essendo pure cittadini della Repubblica si dovrebbero occupare apertamene anche di questi problemi. La questione ha, in particolare, riguardato l’elaborazione di un comunicato stampa che stigmatizzasse quanto sopra ma, sul punto, si è registrato un netto dissenso tra i due orientamenti, non definitivamente sopito da un tentativo pacificatore da parte del presidente dell’Associazione, tanto che il contenzioso in oggetto ha provocato le dimissioni irrevocabili di un illustre esponente dell’Associazione stessa ed un intervento critico da parte di altrettanto autorevole esponente dell’Associazione, giustamente preoccupato per le sorti future del gruppo a seguito delle avvenute dimissioni.

A questo punto arrivati, ci sembra che il problema trascenda l’Associazione dei penalisti sostanziali e riguardi le varie associazioni tra i giuristi delle diverse materie, perché è evidente che il caso della Associazione fra i penalisti sostanziali costituisca un esempio di due modelli inconciliabili di associazionismo, uno tutto rivolto all’interno e quindi conservatore e l’altro, al contrario, aperto all’esterno e, quindi, di marca progressista. Indipendentemente, però, dalle ideologie professate da ciascuno, appare indispensabile interrogarsi sui ruoli che debbano rivestire queste associazioni, affinché non riducano il proprio ruolo all’autoreferenzialità, ma si mostrino, viceversa, utili anche in un impegno ed in un’attestazione critica nei confronti di iniziative di politica criminale o, comunque, di politica istituzionale, su cui riteniamo che le associazioni, proprio perché composte da tecnici del diritto, possano e debbano far sentire la loro voce.

Sul versante dei processualisti penali la situazione pare stagnante, e non da ora. Se si considera l’importanza e la complessità delle questioni venute alla ribalta nel recente passato e di quelle annunciate, la stasi sembra francamente inquietante. Già su queste pagine avevamo formulato un appassionato auspicio affinché «i processualisti penali sappiano cogliere l’occasione per rilanciare il ruolo e la funzione costruttiva della specifica Associazione che li riunisce»; pesa forse il disinteresse generale, frutto a sua volta di sfiducia dopo anni di immobilismo; lo scetticismo è del resto comprensibile quando tutto sembra ruotare intorno ai soliti luoghi, al solito metodo.
Pesa certamente la mancanza di coraggio, mentre è il momento di effettuare valutazioni e scelte, per non coltivare poi il rammarico di aver assistito inerti e silenti alle involuzioni antigarantiste anticipate (tra l’altro) dalle notizie di questi giorni su un nuovo futuribile “pacchetto sicurezza”. L’occasione del ripensamento, per fortuna, si profila all’orizzonte con il rinnovo delle cariche sociali in programma al Convegno di Salerno di metà ottobre. L’augurio è che anche nell’Associazione tra gli studiosi del processo penale si infranga la crosta esterna dell’apparente uniformità di pensiero e si riavvii un periodo di fermento culturalmente creativo e propositivo, anche nel metodo e nelle iniziative.
Un patrimonio di idee, insieme al prestigio e all’autorevolezza degli Studiosi del processo penale, è da tempo immiserito in dibattiti stanchi, tardivi o marginali e autoreferenziali. Occorre dunque pensare ad un rilancio, che non lasci l’Associazione nell’angolo in cui la si è confinata forse per carenza di idee, tornando a dialogare da protagonisti con le istituzioni (e in primo luogo con i ministeri della giustizia e dell’istruzione-università-ricerca). Gli Studiosi del processo penale debbono riprendere il ruolo che loro compete per formazione, capacità, inclinazione, uscendo dall’ombra ove si sono addormentati a vantaggio (soprattutto) della magistratura organizzata. E d’altronde, la salvaguardia delle garanzie e la difesa delle libertà fondamentali non possono restare nelle sole mani dell’avvocatura (anch’essa, oltretutto, con problemi di organizzazione se non di vera e propria rifondazione, nell’imminenza del rinnovo delle cariche centrali). La progettualità attorno ai delicati meccanismi del processo penale attende un impegno corale.
Le nostre Associazioni, in fin dei conti, non corrispondono alle assemblee conviviali del Rotary. Esaurire il loro compito nelle poche occasioni di Convegno è davvero troppo poco.
E qualcuno deve pur iniziare a lanciare il sasso nello stagno...