Con la sentenza n. 164 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1-bis, c.p.p., come introdotto dall’art. 7, co. 1, lett. d), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), sollevate, in riferimento agli artt. 24, 111 e 117, co. 1, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 6, § 3, lett. d), C.E.D.U.), dal Tribunale di Venezia, sezione penale dibattimentale, in composizione monocratica, nella parte in cui tale disposizione, escludendo il potere del giudice di disporre l’accompagnamento coattivo del querelante quando «la mancata comparizione del querelante integra remissione tacita di querela, nei casi in cui essa è consentita», non considera l’ipotesi in cui l’imputato ricusi la remissione della querela per evitare la condanna alle spese processuali e ottenere l’accertamento nel merito della propria innocenza.
Secondo il rimettente, non sarebbe possibile una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata che limiti il divieto di disporre l’accompagnamento coattivo del querelante ai soli casi in cui la remissione tacita della querela non sia stata ricusata dall’imputato. Tale opzione esegetica determinerebbe, infatti, una indebita estensione dei casi in cui il giudice è legittimato a ordinare l’accompagnamento coattivo di un testimone che, in quanto manifestazione del potere coercitivo dell’autorità giudiziaria, deve essere, invece, contenuto nei limiti imposti dall’art. 13 Cost. Pertanto, ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 111 Cost., che garantisce all’imputato la facoltà davanti al giudice di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico e con l’art. 117, co. 1, Cost, in relazione all’art. 6, § 3, lett. d), C.E.D.U., che riconosce il diritto dell’imputato a interrogare o far interrogare i testi a proprio carico e che obbliga gli Stati contraenti a adottare delle misure positive per consentire all’accusato di esaminare o di far esaminare i testimoni a carico. La disposizione oggetto di censura violerebbe, inoltre, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., cui si correla l’imprescindibile diritto dell’imputato a ottenere una pronuncia che ne affermi la non colpevolezza nel merito e non solo una pronuncia processuale fondata sul venir meno dell’interesse alla pretesa punitiva da parte del querelante.
La Consulta ha dichiarato le questioni non fondate, con una sentenza interpretativa di rigetto.
Della disposizione sottoposta a suo scrutinio la Corte ha infatti ritenuto possibile una interpretazione adeguatrice orientata alla conformità ai parametri evocati dal rimettente.
La Corte ha anzitutto ricordato che il nuovo co. l-bis dell’art. 133 c.p.p. ha introdotto un’eccezione – «limitatamente ai casi in cui la mancata comparizione del querelante integra remissione tacita di querela» – al potere del giudice, stabilito in via generale dall’art. 133 co. 1 c.p.p., di disporre l’accompagnamento coattivo dei testimoni che, regolarmente citati o convocati, omettano senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti.
Nell’ipotesi, però, in cui l’imputato abbia ricusato la remissione della querela, ad avviso della Corte è corretto escludere – come ritiene il rimettente – che il giudice possa immediatamente disporre l’accompagnamento coattivo a carico del querelante, perché quest’ultimo ha ragionevolmente confidato nell’effetto estintivo del reato conseguente alla propria condotta.
Piuttosto – secondo il Giudice delle leggi – a fronte della mancata estinzione del reato conseguente alla ricusazione della remissione della querela da parte dell’imputato, sarà necessaria una nuova citazione del querelante a una successiva udienza, con indicazione dell’avvenuta ricusazione da parte dell’imputato, affinché possa pienamente dispiegarsi il diritto di difesa di quest’ultimo, il quale ha diritto a un pieno accertamento di merito sul contenuto delle accuse a suo tempo rivoltegli (sul punto, v. sent. cost. n. 41 del 2024). Peraltro, a tale nuova udienza – ha precisato la Consulta – la disposizione censurata non potrà più trovare applicazione, poiché l’eventuale mancata comparizione del querelante non potrà più essere equiparata alla sua remissione tacita della querela, ormai ricusata dall’imputato. La mancata ingiustificata comparizione dovrà, invece, essere considerata come una ordinaria violazione dell’obbligo gravante su ogni testimone, regolarmente citato, di comparire in udienza, per cui si dovrà applicare la regola generale di cui al co. 1 dell’art. 133 c.p.p. (accompagnamento coattivo e sanzione pecuniaria).
Così interpretata, la disposizione censurata si sottrae, secondo la Corte, ai vizi di illegittimità costituzionale denunciati dal rimettente.
In definitiva, la Consulta ha ritenuto le questioni non fondate poiché, contrariamente a quanto asserito dal giudice a quo, l’art. 133 co. 1-bis c.p.p. deve essere interpretato nel senso che il divieto di accompagnamento coattivo posto dalla disposizione si applica solo nel caso in cui la mancata comparizione del querelante abbia determinato l’estinzione del reato per remissione tacita di querela, e non nell’ipotesi in cui, invece, la remissione della querela sia stata ricusata dall’imputato. Con la precisazione che, in questa seconda ipotesi, occorrerà comunque una nuova citazione del querelante a una successiva udienza, nella quale il giudice potrà ordinare l’accompagnamento coattivo del querelante medesimo, sempre che quest’ultimo ometta di comparire in tale nuova udienza senza un legittimo impedimento.