Con l’ordinanza 207/2018, facendo seguito all’udienza del 24 ottobre 2018, la Corte Costituzionale ha deciso di rinviare all’udienza del 24 settembre 2019 la trattazione della questione sollevata dalla Corte di Assise di Milano lo scorso 14 febbraio avente ad oggetto la sospetta illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito di suicidio nonché, in subordine, prevede il medesimo trattamento sanzionatorio (della reclusione da 5 a 12 anni) per le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio che non incidano sul processo deliberativo dell’aspirante suicida, senza distinguere rispetto alla pena prevista per le condotte di istigazione: rilevato, infatti, che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti, la Corte ha ritenuto di dover concedere tempo al Parlamento per intervenire con un’appropriata disciplina. In particolare, precisando che se non è, di per sé, contrario alla Costituzione il divieto sanzionato penalmente di aiuto al suicidio, occorre tuttavia considerare specifiche situazioni, inimmaginabili all’epoca in cui la norma incriminatrice fu introdotta ma portate sotto la sua sfera applicativa dagli sviluppi della scienza medica e della tecnologia, spesso capaci di strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali: il riferimento è alle ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi in una persona affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, avvertite come assolutamente intollerabili, la quale sia tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale pur restando capace di prendere decisioni libere e consapevoli e rispetto alla quale l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare. Sicché, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finirebbe per limitare la libertà di autodeterminazione del malato scaturente dagli articoli 2, 13 e 32 cpv. Cost. imponendogli un’unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile. Né, ad avviso della Corte, la soluzione potrebbe consistere, allo stato, nella semplice rimozione dell’art. 580 c.p. in quanto una simile soluzione lascerebbe del tutto priva di disciplina legale la prestazione di aiuto materiale ai pazienti in tali condizioni, in un ambito ad altissima sensibilità etico-sociale e rispetto al quale vanno con fermezza preclusi tutti i possibili abusi. Di qui la decisione del rinvio, atta a consentire un adeguato intervento del legislatore cui spettano, in via esclusiva, le scelte discrezionali sottese alla regolazione della materia.