La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. e dell’art. 3, comma 1, L. 23 dicembre 1986, n. 898 sollevate dal Tribunale Ordinario di Lecce per violazione dell’art. 117, comma 1 Cost. in riferimento all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In particolare, secondo il rimettente, la norma speciale di cui all’art. 3, comma 1, L. 898/1986 – nella parte in cui impone il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria «[i]ndipendentemente dalla sanzione penale» - e l’art. 649 c.p.p., che vieta un secondo giudizio solo se questo sia formalmente qualificato come penale, violerebbero l’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU, nell’accezione precisata dalla sentenza Cedu Grande Stevens c. Italia. La violazione del Protocollo deriverebbe, a parere del giudice rimettente, dal fatto che il procedimento penale (nel caso di specie conclusosi con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione) verteva sul medesimo fatto storico oggetto dell’opposizione alla sanzione amministrativa ancora sub iudice con conseguente violazione del principio del ne bis in idem. I giudici della Corte hanno preliminarmente osservato che, in ogni caso, il giudice rimettente ha obliterato la differenza tra tutela del divieto di bis in idem nell’ambito della CEDU da quello nell’ambito UE considerando l’art. 4 del Protocollo addizione n. 7 CEDU come norma comunitaria, confusione tanto più rilevante se si considera che la L. 898/1986 è attuativa di una normativa comunitaria. Successivamente, hanno specificato gli obblighi degli Stati membri dell’UE di adottare un sistema di comunicazioni delle irregolarità perpetrate ai danni dei fondi europei di finanziamento della politica agricola comune nonché di prevedere l’obbligo di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in relazione alle frodi compiute in violazione delle suddette normative. Allo stesso modo il giudice de quo, a parere della Consulta, ha omesso qualsiasi motivazione sui presupposti in base ai quali dovrebbe riconoscersi natura sostanzialmente penale alla sanzione prevista dall’art. 3 L. 898/1986. E ancora, la Corte ha evidenziato come il procedimento penale riguardi la persona fisica, mentre il procedimento civile di opposizione alla sanzione amministrativa è rivolto alla società di cui la stessa è legale rappresentante. La motivazione - ritenuta carente, insufficiente e confusa - dell’ordinanza di rimessione ha dunque determinato la Consulta a dichiarare la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate con riguardo all’art. 649 c.p.p. e all’art. 3, comma 1, L. 898/1986 per violazione dell’art. 117, comma 1 Cost. in riferimento all’art. 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla CEDU.
D. Piva