Con l’ordinanza n. 276 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, co. 3, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, 97, 101 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Fermo, nella parte in cui non limita l’obbligo di sottoporre la dichiarazione di astensione alla decisione del presidente della corte o del tribunale al solo caso di astensione previsto dallo stesso art. 36, co. 1, lett. h), vale a dire all’astensione dovuta ad altre «gravi ragioni di convenienza».
La Consulta ha rilevato come il giudice a quo, nel formulare il quesito di costituzionalità, non abbia tenuto conto della circostanza che, con la sentenza n. 113 del 2000, era stato affermato il principio secondo cui la formulazione dell’art. 36, co. 1, lett. h), c.p.p. ha una sfera di applicazione sufficientemente ampia da comprendere anche le ipotesi in cui il pregiudizio alla terzietà del giudice derivi da funzioni esercitate in un diverso procedimento. Come ha sottolineato il Giudice delle leggi, la richiesta del rimettente risulta priva di rilevanza nel giudizio principale, in quanto – al lume della richiamata sentenza n. 113 del 2000 – quel caso “innominato” di astensione obbligatoria assorbe proprio le ipotesi di astensione determinata dal pregiudizio che discende da attività processuali svolte dal giudice in precedenza.
La Corte ha pure rilevato come la modifica che il giudice a quo intenderebbe perseguire darebbe vita a conseguenze eccentriche rispetto al sistema, in quanto la stessa andrebbe “coordinata” con la previsione di cui all’art. 42, co. 2, c.p.p., in tema di effetti del provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione.
Pertanto, le questioni proposte sono state dichiarate manifestamente inammissibili.