La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 31, co. 2, Cost., dell’art. 21-bis, l. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui, attraverso il rinvio al precedente art. 21, con riferimento alle detenute condannate alla pena della reclusione per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis, co. 1, 1-ter e 1-quater, l. n. 354 del 1975, tale disposizione non consente l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci oppure lo subordina alla previa espiazione di una frazione di pena, salvo che sia stata accertata la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 58-ter della medesima legge.
La Consulta ha ritenuto fondata la questione sollevata dal rimettente, rilevando il contrasto della disposizione censurata con l’art. 31, co. 2, Cost.
La decisione qui segnalata si informa alla ratio della sentenza n. 239 del 2014, secondo la quale la mancata collaborazione con la giustizia non può ostare alla concessione di un beneficio primariamente finalizzato a tutelare il rapporto tra la madre e il figlio minore. Sulla scorta di quella pronuncia, infatti, la Corte ha ritenuto che l’art. 21-bis, ord. penit. si pone in contrasto con il parametro costituzionale di cui all’art. 31, co. 2, Cost., nella parte in cui condiziona alla collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter, ord. penit. tanto l’accesso all’assistenza all’esterno dei figli minori per le detenute per uno dei reati elencati all’art. 4-bis, co. 1, ord. penit., anche qualora la condannata abbia scontato una parte della pena, quanto l’immediato accesso al medesimo beneficio per le condannate per uno dei delitti elencati all’art. 4-bis, co. 1-ter e 1-quater, ord. penit. In particolare, le detenute per uno dei reati ex art. 4-bis, co. 1, ord. penit. (anche quelle la cui collaborazione sia impossibile, inesigibile o irrilevante) devono sempre scontare una frazione di pena prima di accedere al beneficio. Pertanto, l’amministrazione penitenziaria prima, e il giudice poi, si trovano al cospetto di una presunzione assoluta e insuperabile, non essendo loro concesso di bilanciare in concreto, a prescindere da indici legali presuntivi, le esigenze di difesa sociale rispetto al migliore interesse del minore. Ciò è in contrasto con i principi affermati nella sentenza n. 76 del 2017 e, prima ancora, nella decisione n. 239 del 2014, secondo la quale, affinché il preminente interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine, la legge deve consentire che sussistenza e consistenza di queste ultime siano verificate in concreto, e non già sulla base di automatismi che impediscono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni.
In definitiva – ha qui precisato il Giudice delle leggi – i requisiti legislativi previsti per l’accesso a un beneficio prevalentemente finalizzato a favorire, al di fuori della restrizione carceraria, il rapporto tra madre e figli in tenera età, non possono coincidere con quelli per l’accesso al diverso beneficio del lavoro all’esterno, il quale è esclusivamente preordinato al reinserimento sociale del condannato. Invece – ha concluso la Corte – l’art. 21-bis, ord. penit., operando un rinvio al precedente art. 21, ord. penit., e parificando i requisiti in discorso, non può che porsi in contrasto con l’art. 31, co. 2, Cost.
(A. Capitta)