Con la sentenza n. 245 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5, D.L. 10 maggio 2020, n. 29 (c.d. decreto “antiscarcerazioni”, recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19) – così come trasfusi nell’art. 2-bis, D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (recante, tra l’altro, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario), convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 2020, n. 70 – sollevate, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 24, co. 2, 32 e 111, co. 2, Cost., dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino; ha dichiarato, altresì, non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis, d.l. n. 28 del 2020, come convertito, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost., dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto; infine, ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 5, d.l. n. 29 del 2020 – così come trasfusi nell’art. 2-bis, d.l. n. 28 del 2020, come convertito – sollevate, in riferimento agli artt. 27, co. 3, 102, co. 1, e 104, co. 1, Cost., dal Tribunale di sorveglianza di Sassari.
Le disposizioni oggetto di censura, relative alle scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19 di condannati per reati di particolare gravità, prevedono che il magistrato di sorveglianza – una volta concessi provvisoriamente la detenzione domiciliare o il differimento della pena ai condannati per questi reati – rivaluti periodicamente le condizioni che giustificano le misure, alla luce dei pareri delle Procure distrettuali e della Procura nazionale antimafia, nonché delle informazioni del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sull’eventuale sopravvenuta disponibilità di strutture sanitarie all’interno del carcere o di reparti di medicina protetti, idonei a ripristinare la detenzione del condannato.
La Consulta ha esaminato, in primo luogo, le questioni prospettate dai Magistrati di sorveglianza di Avellino e di Spoleto, in riferimento agli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost.
Le censure dei rimettenti si erano incentrate sulla previsione normativa di un procedimento senza spazi di adeguato coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, giacché tale procedimento risulta caratterizzato da un contradditorio soltanto differito ai fini della eventuale revoca della misura extramuraria da parte dello stesso magistrato di sorveglianza che l’ha in precedenza concessa. La Corte ha ritenuto che questa disciplina non violi il diritto di difesa del condannato e neppure il principio del contraddittorio. Infatti, la normativa penitenziaria in tema di detenzione domiciliare “in surroga” (art. 47-ter, co. 1-ter, ord. penit.) già ammette, ai sensi dell’art. 47-ter, co. 1-quater, ord. penit., l’intervento del magistrato di sorveglianza che può disporre l’applicazione provvisoria della misura in situazioni di urgenza, sulla base di documentazione acquisita ex officio e non ostensibile alla difesa, nell’ambito di un procedimento totalmente deformalizzato e funzionale a una decisione de plano, senza possibilità di replica per il difensore. Il contraddittorio è riservato alla fase successiva – ha ricordato la Corte – in cui il tribunale di sorveglianza decide in via definitiva sull’istanza del detenuto. Da qui il passaggio chiave della sentenza in esame, fondato su un ragionamento analogico: così come non rappresenta un’anomalia la disciplina processuale relativa alla decisione interinale del magistrato sull’istanza di applicazione provvisoria della misura, non è altrettanto costituzionalmente necessario il contraddittorio nel procedimento di rivalutazione, ora disciplinato dalla disposizione censurata, funzionale all’eventuale revoca da parte del magistrato della detenzione domiciliare precedentemente concessa. Sarà poi il tribunale di sorveglianza che confermerà o smentirà il provvedimento interinale di revoca, in esito a un procedimento – quello sì – a contraddittorio pieno, nel quale la difesa avrà accesso agli atti e ai documenti sui quali si formerà il convincimento del tribunale. La Corte ha richiamato la differenza, correttamente evidenziata dai rimettenti, tra concessione del beneficio e provvedimento di revoca di un beneficio già concesso, che ha carattere assai più gravoso, comportando la conseguenza dell’immediato ritorno in carcere del condannato. Tuttavia, secondo il Giudice delle leggi, questa differenza, se pur comprensibile sul piano psicologico, non è decisiva dal punto di vista degli interessi in gioco. A ben vedere, la motivazione della sentenza qui pubblicata si incentra sulla necessità di attribuire al magistrato di sorveglianza il potere di operare, in via di urgenza, un bilanciamento – da effettuarsi con speciale scrupolo – tra le ragioni di tutela della salute e della vita del condannato e le contrapposte esigenze di tutela della collettività, attraverso l’esercizio di poteri officiosi e, in ragione della necessità di una rapida decisione nel procedimento di rivalutazione, senza l’intervento della difesa in quella fase.
Dunque, secondo la Corte, l’assetto normativo censurato non appare incompatibile con gli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost., in considerazione del successivo recupero della pienezza delle garanzie difensive e del contraddittorio nel procedimento avanti al tribunale di sorveglianza; procedimento che, oggi, il legislatore ha previsto debba concludersi entro il termine perentorio di trenta giorni, nell’ipotesi in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della misura.
La Consulta ha ritenuto altresì infondate le censure formulate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Avellino con riferimento all’art. 32 Cost., concernente il diritto alla salute.
La nuova disciplina – ha affermato la Corte – non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, imposti dall’art. 32 Cost. e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo anche nei confronti di condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al regime penitenziario di cui all’art. 41-bis ord. penit. (Cfr. Corte EDU, Sez. I, 25 ottobre 2018, Provenzano c. Italia, par. da 126 a 141 e da 147 a 158). Come hanno precisato i giudici costituzionali, la disposizione censurata non intende esercitare alcuna indebita pressione sul giudice che abbia in precedenza concesso la detenzione domiciliare, mirando unicamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo sulla situazione epidemiologica in corso, con specifico riferimento alla possibilità di opzioni alternative intramurarie o presso reparti di medicina protetti, in grado di tutelare egualmente la salute del condannato.
La Corte ha poi vagliato congiuntamente le censure sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari e dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto con riferimento all’art. 3 Cost., ritenendole parimenti infondate.
Secondo i rimettenti, la normativa censurata comporterebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i detenuti in relazione al solo titolo di reato, creando automatismi incompatibili con il principio della tutela della loro salute, che vale per tutti i detenuti. La Consulta ha invece reputato non irragionevole la scelta del legislatore di imporre al giudice una frequente e penetrante rivalutazione delle condizioni che hanno giustificato la concessione della misura nei confronti di condannati per gravi reati connessi alla criminalità organizzata.
Infine, il Giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente infondate le questioni formulate dal Tribunale di sorveglianza di Sassari, in riferimento all’art. 27, co. 3, Cost. e agli artt. 102, co. 1, e 104, co. 1, Cost.
Per quanto concerne il richiamo al parametro di cui all’art. 27, co. 3, Cost., la Corte lo ha ritenuto inconferente, giacché le misure in questione non sono funzionali alla rieducazione del condannato, bensì in via esclusiva alla tutela della sua salute. I giudici costituzionali hanno poi escluso che la disciplina esaminata contrasti con il principio di separazione tra potere giudiziario e potere legislativo. La legge “antiscarcerazioni” – ha concluso la Consulta – non determina alcuna interferenza con le prerogative del potere giudiziario: non ha effetto retroattivo, non travolge i provvedimenti già adottati e neppure vanifica il termine contenuto nell’originario provvedimento di concessione della misura.