Casellario giudiziale/ Messa alla prova – Corte cost., n. 231 del 2018
(A. Capitta)
La Corte costituzionale – riuniti i giudizi – ha dichiarato:
1) l’illegittimità costituzionale degli artt. 24, co. 1, e 25, co. 1, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)», nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 18 e 19, l. 23 giugno 2017, n. 103), nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater, c.p.p. e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies, c.p.p.
2) la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, co. 2, d.P.R. n. 313 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., dal Tribunale ordinario di Genova;
3) la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, co. 1, e 25, co. 1, d.P.R. n. 313 del 2002, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze.
La Consulta ha anzitutto rilevato che, nelle more dei giudizi, è sopravvenuto il d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, con cui il Governo ha provveduto a riformare, tra l’altro, anche le disposizioni oggetto delle censure formulate dai rimettenti. La sopravvenuta modifica legislativa, tuttavia, non impone la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, essendo essa ininfluente nei giudizi a quibus. Il decreto legislativo n. 122 del 2018 (pubblicato nella G.U. del 26 ottobre 2018, n. 250, Suppl. ord. n. 50), infatti, prevede che le disposizioni in esso contenute «acquistano efficacia decorso un anno dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale» (art. 7). Dunque, la Corte ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, co. 1, e 25, co. 1, t.u. casellario giudiziale, nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal d.lgs. n. 122 del 2018.
Con riguardo alle censure formulate in relazione all’art. 3 Cost., la Corte ha osservato come l’implicito obbligo di includere i provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti da privati finisca per risolversi in un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità – beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti dai privati.
La Consulta ha ritenuto, altresì, fondate le questioni sollevate in relazione all’art. 27, co. 3, Cost. Infatti, l’istituto della messa alla prova – al quale va riconosciuta una dimensione processuale e, insieme, sostanziale – costituisce parte integrante del sistema sanzionatorio penale e va visto in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto (cfr., sent. cost. n. 91 del 2018). Pertanto – osserva il Giudice delle leggi – l’istituto non può che essere attratto dal finalismo rieducativo di cui all’art. 27, co. 3, Cost. La menzione dei provvedimenti concernenti la messa alla prova nei certificati richiesti dai privati appare tuttavia – secondo la Corte – disfunzionale rispetto a tale obiettivo, costituzionalmente imposto. La menzione relativa risulta, anzi, suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative.
Infine, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’inammissibilità, per totale carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Genova ed ha altresì dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate dal GIP del Tribunale di Firenze, poiché il giudizio a quo atteneva alla fase di cognizione e, in tale sede, il giudice non può in nessun caso ritenersi investito della applicazione di una disciplina come quella relativa alle iscrizioni nel casellario giudiziale, le cui questioni potranno venire in discorso e assumere rilevanza soltanto in executivis.