Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Colloqui a distanza tra detenuti in regime di “41-bis” e figli minorenni al tempo del Covid – Corte cost., n. 57 del 2021

Anna Maria Capitta

Corte cost.


Con la sentenza n. 57 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, D.L. 10 maggio 2020, n. 29 (recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento dell’esecuzione della pena, in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, di persone detenute o internate per taluni gravi delitti e di detenuti e internati sottoposti al regime previsto dall’art. 41-bis ord. penit., nonché in materia di colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati) e dell’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), terzo periodo, ord. penit., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, co. 3, 30, 31, co. 2, 32 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU, dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, nella parte in cui l’art. 4, d.l. n. 29 del 2020 stabilisce che, al fine di prevenire il rischio di diffusione del COVID-19, negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, dal 19 maggio 2020 e sino al 30 giugno 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati a norma degli artt. 18 ord. penit., 37 D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, e 19 D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, possono essere svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica; e, quanto all’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), terzo periodo, ord. penit., nella parte in cui non prevede che i colloqui sostitutivi di quelli visivi con i figli minorenni, cui hanno diritto i detenuti in regime speciale, possano essere svolti – in alternativa alla corrispondenza telefonica – con modalità audiovisive a distanza.
Il rimettente ha dunque censurato la normativa emergenziale introdotta per fronteggiare la pandemia da Covid-19, nella parte in cui essa non consente che si svolgano tramite collegamento audiovisivo a distanza anche i colloqui con i figli minorenni cui hanno diritto i detenuti e gli internati sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis, co. 2, ord. penit. Il giudice a quo ha poi esteso tali censure alla norma “a regime” di cui all’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), terzo periodo, ord. penit.
In particolare, il rimettente ha osservato come, a prescindere dai motivi di carattere sanitario, le trasferte per i colloqui visivi possano comportare oneri economici non facilmente sostenibili e, quanto ai minorenni, anche problemi legati alle assenze scolastiche: situazione, questa, generatrice di ingiustificate disparità di trattamento.
La Consulta ha ritenuto inammissibili le questioni per difetto di competenza del giudice a quo.
Come ha precisato la Corte costituzionale, il Tribunale per i minorenni investito di procedimenti civili de potestate appare, infatti, palesemente privo di qualsiasi competenza in materia di autorizzazione dei colloqui dei detenuti: competenza che non può essere in alcun modo fatta discendere da quella per la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità dei genitori.
Secondo il rimettente, la preclusione dei colloqui audiovisivi a distanza, posta, in assunto, dalle norme censurate nei confronti dei detenuti in regime speciale, sarebbe, per così dire, “bivalente”: inciderebbe, cioè, non solo sui diritti del detenuto, ma anche sui diritti del minore. Tuttavia – osserva la Consulta – il fatto che siano coinvolti interessi dei minori non significa affatto che alla competenza dei giudici di sorveglianza possa sovrapporsi una concorrente competenza del tribunale civile minorile. Del resto – sottolinea il Giudice delle leggi – l’idea di una competenza concorrente di due diverse autorità in rapporto al medesimo provvedimento si presenta palesemente confliggente con una logica di sistema.
Pertanto, la Corte ha dichiarato le questioni inammissibili, ritenendo precluso ogni esame nel merito delle censure.
In questa pronuncia, dunque, la Consulta non ha esaminato neppure le premesse ermeneutiche che hanno fondato i dubbi di costituzionalità del rimettente. Al riguardo, si può segnalare che l’assunto del giudice a quo non pare condiviso dalla Corte di cassazione, la quale, di recente, ha affermato che la disciplina emergenziale dettata dal d.l. n. 29 del 2020 in tema di colloqui a distanza con i congiunti non distingue tra i detenuti cui è riferibile e, dunque, ben potrebbe essere ritenuta applicabile anche al caso di coloro che siano assoggettati al regime penitenziario differenziato (Cass., Sez. I, 22 giugno 2020, n. 23819, proc. Madonia, in Mass. Uff., n. 279577). Nella stessa decisione, la Suprema Corte ha ritenuto che, nelle situazioni di impossibilità o di gravissima difficoltà ad effettuare il colloquio in presenza, occorre comunque garantire l’effettività del diritto al colloquio ai detenuti in regime di “41-bis”, anche tramite il ricorso alle videochiamate (Cass., Sez. I, 22 giugno 2020, n. 23819, proc. Madonia, cit. In senso conforme, Cass., Sez. I, 12 dicembre 2014, n. 7654, Trigila, in Mass. Uff., n. 262417; contra, Cass., Sez. I, 22 marzo 2019, n. 16557, proc. Pesce, ivi, n. 275669).