Con la sentenza n. 105 del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), ord. penit., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, co. 3, 31 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con L. 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, nella parte in cui tale disposizione prevede che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici.
Il rimettente ha ritenuto che l’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), ord. penit. imponesse che i colloqui del detenuto in regime speciale, anche con i familiari minori di anni quattordici, avvengano sempre con l’impiego del vetro divisorio “a tutta altezza” e, dunque, senza alcun contatto fisico con gli stessi. Per questo, ha dubitato della legittimità costituzionale della disposizione censurata. Sarebbe leso, in primo luogo, il diritto della persona detenuta a mantenere rapporti affettivi con il proprio nucleo familiare; risulterebbe compromesso il diritto a non subire una «detenzione inumana»; non si rispetterebbero i principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui le limitazioni imposte dal regime differenziato sono compatibili con gli artt. 3 e 27 Cost. solo in quanto giustificate da esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza (sent. cost. n. 97 del 2020; n. 186 del 2018; n. 143 del 2013; n. 351 del 1996). Non si garantirebbe, inoltre, il rispetto del «superiore interesse» del minore, presidiato dagli artt. 31 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. Anche l’art. 8 CEDU obbligherebbe lo Stato ad evitare «condizioni stressanti per i bambini» durante i colloqui con i parenti.
La Consulta non ha condiviso il presupposto da cui muovono le ordinanze di rimessione e ha ritenuto possibile, invece, fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, che garantisca un trattamento penitenziario non contrastante con il senso di umanità e che sia in grado di tutelare il preminente interesse dei minori.
Sotto il primo profilo, la Corte ha rimarcato il rilievo essenziale che assume l’interesse della persona detenuta a mantenere un contatto fisico con i familiari: una disciplina che ne escluda totalmente la possibilità, finanche nei confronti di quelli in età più giovane, si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall’art. 27 Cost., anche per i soggetti in regime differenziato (v. sent. cost. n. 351 del 1996).
Sotto il secondo profilo, la sentenza qui pubblicata rammenta come la Corte costituzionale sia intervenuta più volte per adeguare le norme di ordinamento penitenziario alla necessità di tutelare il primario interesse del minore, ossia di un «soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione» (v. sent. cost. n. 76 del 2017). La stessa Corte, peraltro, ha sempre ribadito che l’interesse del minore «non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» (v. sent. cost. n. 30 del 2022; n. 174 del 2018). Tali esigenze – rileva la Consulta – si riscontrano al massimo grado per i detenuti assoggettati al regime detentivo differenziato.
Il Giudice delle leggi è infatti consapevole che l’istituto dei colloqui con i familiari o con terze persone rappresenta uno dei momenti a più alto rischio per la garanzia degli obiettivi perseguiti attraverso l’applicazione del regime differenziato (sent. cost. n. 97 del 2020), trattandosi del veicolo più diretto e immediato di comunicazione del detenuto con l’esterno (sent. cost. n. 143 del 2013). È comprensibile, dunque, durante tali colloqui, l’adozione di una serie di rigorose misure volte a impedire che gli esponenti dell’organizzazione criminale in stato di detenzione possano continuare a impartire direttive agli affiliati in stato di libertà. Il legislatore, tuttavia, nell’indicare il risultato vietato e, cioè, il passaggio di oggetti durante i colloqui visivi, non ha specificato in dettaglio le pertinenti soluzioni tecniche (in particolare, l’uso del vetro divisorio a tutta altezza), limitandosi a richiedere che i locali destinati ai colloqui siano «attrezzati» in modo da impedire tale passaggio (art. 41-bis, co. 2-quater, lett. b), ord. penit.).
La Corte ha, quindi, chiarito che l’impiego del vetro divisorio, pur potendo costituire un mezzo altamente idoneo a raggiungere gli obiettivi di legge, non è tuttavia imposto dal testo della disposizione censurata, che non ne fa alcuna menzione.
Da ciò ne deriva che non è illegittima – e dunque conforme al dato normativo primario – la previsione dell’art. 16 della circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (circolare DAP del 2 ottobre 2017, n. 3676/6126), che consente il colloquio senza vetro divisorio, nel caso in cui esso avvenga con i figli e i nipoti in linea retta minori di dodici anni.
L’indicazione contenuta nella circolare – ha precisato la Corte – non impone, a sua volta, scelte rigide, che, peraltro, anche de iure condendo, potrebbero risultare non adeguate, per eccesso o per difetto, alle specifiche esigenze del caso singolo. Questa indicazione, da un lato, non può impedire una deroga puntuale alla regola del vetro divisorio, anche per i colloqui con minori ultradodicenni; dall’altro lato, e all’inverso, non attribuisce una pretesa intangibile alla condivisione del medesimo spazio libero, nemmeno durante i colloqui con minori infradodicenni.
In definitiva, in presenza di una disposizione di legge che indica con chiarezza l’obiettivo – impedire il passaggio di oggetti durante i colloqui tra i detenuti sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. penit. e i loro familiari – le soluzioni per raggiungerlo devono essere adeguate alla situazione concreta, tenuto conto sia dei diritti fondamentali del detenuto, sia di quelli del familiare minorenne.
Pertanto, l’interpretazione adeguatrice adottata nella sentenza in esame – secondo cui la disposizione censurata non impone affatto in ogni circostanza l’impiego del vetro divisorio – è compatibile con il dato testuale e ne consente una lettura adeguata ai parametri costituzionali evocati dal giudice rimettente.
La Consulta ha dunque concluso ritenendo che lo schema normativo sopra considerato risulta immune da vizi: la forza dei parametri costituzionali interni e sovranazionali evocati, il tenore letterale della disposizione di legge censurata, l’efficacia orientativa, per ciò solo derogabile, della soluzione contenuta nella circolare richiamata, comportano la non fondatezza, nei sensi precisati in motivazione, delle questioni sollevate dal rimettente.