Con la sentenza n. 231 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4, co. 1, e 6, co. 1, D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, co. 82, 83 e 85, lett. p), L. 23 giugno 2017, n. 103», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 27, co. 3, 31, co. 2, e 76 Cost., dal Tribunale per i minorenni di Brescia, in funzione di tribunale di sorveglianza.
Il rimettente ha sostenuto che, nel subordinare l’accesso alle misure alternative da parte dei condannati minorenni a condizioni analoghe a quelle previste per gli adulti, le disposizioni censurate conterrebbero un automatismo, tale da impedire una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di socializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile. Il giudice a quo ha inoltre denunciato la violazione dell’art. 76 Cost., poiché la preclusione delle misure alternative stabilita dalle disposizioni in esame si porrebbe in contrasto con i principi di cui alla legge delega n. 103 del 2017, che prevedono l’ampliamento dei criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione per i minori e l’eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei benefici penitenziari.
La Consulta ha ritenuto anzitutto che le norme censurate non abbiano disatteso i principi e i criteri direttivi impartiti dalla legge delega.
In primo luogo, infatti, la disciplina delle misure penali di comunità per i minorenni si discosta da quella prevista dall’ordinamento penitenziario per gli adulti e, anzi, amplia le possibilità di applicazione delle misure extramurarie nei confronti dei condannati minorenni, come richiesto dalla delega.
Quanto poi al criterio direttivo della delega relativo alla eliminazione di ogni automatismo e preclusione per la concessione e la revoca dei benefìci penitenziari, la Corte ha evidenziato dei dubbi sulla riconducibilità dei limiti stabiliti dalle norme censurate alla nozione di automatismo.
A questo specifico riguardo, il Giudice delle leggi non ha ritenuto fondate le censure correlate ai limiti di pena stabiliti per l’accesso dei condannati minorenni all’affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare (che sono, rispettivamente, di quattro anni e di tre anni di pena detentiva da eseguire). Infatti, i limiti posti alle misure in esame, pur basandosi sulla durata della pena da espiare, non sono disgiunti da una valutazione giudiziale del caso concreto e dall’elaborazione di una prognosi individuale. Pertanto, la Corte ha escluso che la disciplina censurata, là dove prevede dei limiti per l’accesso alle misure di comunità, introduca un automatismo contrastante con la funzione rieducativa della pena e con il principio di individualità del trattamento penitenziario.
La Corte ha inoltre dichiarato l’infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 3, 27, co. 3, e 31, co. 2, Cost.
I giudici costituzionali hanno infatti precisato che le disposizioni in esame realizzano una ponderazione degli interessi coinvolti che è espressione non irragionevole di discrezionalità legislativa e, dunque, tali norme forniscono una risposta che non contrasta con le esigenze di individualizzazione del trattamento penitenziario minorile, derivanti dai principi costituzionali di protezione dell’infanzia e della gioventù (art. 31, co. 2, Cost.) e di finalizzazione rieducativa della pena (art. 27, co. 3, Cost.).
Peraltro, la Consulta non ha mancato di rilevare che, sempre ai fini della individualizzazione del trattamento, assetti più flessibili e attributivi di maggiori spazi per una valutazione giudiziale – così come era stato previsto, per entrambe le misure di comunità in esame, dall’originario schema governativo di decreto legislativo – risulterebbero particolarmente appropriati. Per i giudici costituzionali, rimane comunque auspicabile l’adozione di scelte normative volte ad ampliare la sfera di applicazione delle misure alternative, in considerazione della preminenza attribuita alla finalità educativa e socializzante dell’esecuzione penale minorile, anche allo scopo di evitare controproducenti interruzioni dello specifico percorso già intrapreso.