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Nella pronuncia qui pubblicata, la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di cassazione in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., avente ad oggetto il combinato disposto degli artt. 4, co. 11, l. n. 1423 del 1956 e 3-ter, co. 2 , l. n. 575 del 1965 - entrambi riprodotti, senza significative variazioni, dagli artt. 10, co. 3, e art. 27, co. 2, del d. lgs n. 159 del 2011 - «nella parte in cui limitano alla sola violazione di legge la proponibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti di confisca adottati nell’ambito dei procedimenti di prevenzione».
Ad avviso del giudice a quo tale limitazione violerebbe l’art. 3 Cost. In particolare, secondo i giudici rimettenti, non è giustificabile «che il provvedimento relativo alla confisca di prevenzione sia ricorribile per cassazione solo per violazione di legge, mentre nei confronti di quello relativo alla confisca dell’art. 12-sexies si possono dedurre anche i vizi di motivazione previsti dall’art. 606, co. 1, lettera e), c.p.p.». Secondo l’orientamento della Corte di cassazione, infatti, i due provvedimenti ablativi sarebbero equiparabili sia in relazione ai presupposti applicativi, sia in riferimento alle conseguenze pregiudizievoli. Pertanto una tale disparità di trattamento non dovrebbe trovare accoglimento nel nostro ordinamento.
Non solo. Anche l’art. 24 Cost. risulterebbe violato. Il diritto di difesa «dovrebbe essere maggiormente garantito» nei confronti della confisca di prevenzione «siccome basata su un presupposto oggettivamente più “debole”» rispetto a quanto richiesto dalla confisca dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, che presuppone una condanna.
Secondo la Corte costituzionale, il giudice rimettente ha erroneamente posto a confronto il procedimento per la confisca di prevenzione (disgiunto da quello per la misura personale) con il procedimento di esecuzione per la confisca ex art. 12sexies del d.l. n. 306 del 1992 (disgiunto dal processo penale), senza tener conto delle «profonde differenze» – di procedimento e di sostanza – che connotano il procedimento penale e quello di prevenzione. Ed ancora, la Cassazione non considera che «mentre nel procedimento di prevenzione è previsto il “ricorso alla Corte d’appello, anche per il merito” (art. 4, co. 10, l. n. 1423 del 1956), in quello di esecuzione è previsto solo il ricorso per cassazione. Quindi […] dopo un secondo grado di merito, ben può giustificarsi la limitazione del sindacato sulla motivazione».
La Corte costituzionale torna, quindi, a ribadire l’impossibilità di comparare i due sistemi, penale e di prevenzione, ciascuno dotato di proprie peculiarità (richiamando la stessa Corte di cassazione, s.u, n. 33451 del 2014).
Inoltre, continua la Consulta, una soluzione di segno opposto avrebbe un esito irragionevole. Ritenere, infatti, fondata la questione solo con riferimento alla confisca di prevenzione, a differenza di quanto già affermato con riferimento alle misure di prevenzione personali (sentenza n. 321 del 2004), determinerebbe una (inaccettabile) diversità di «estensione del sindacato della Corte di cassazione sul provvedimento impugnato anche in relazione al medesimo presupposto della pericolosità del proposto, a seconda che venga in rilievo una misura personale o una misura patrimoniale».
M.D.