Con sentenza n. 88 depositata l’8 maggio 2023 la Corte - in relazione alle questioni sollevate con ordinanze del 23 giugno e 1° luglio 2022 dal Consiglio di Stato, sezione terza, per asserita violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno, anche quelle, pur non definitive, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 390 e quelle definitive per il reato di cui all’art. 474, secondo comma, del codice penale, senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente. Una volta delimitato il thema decidendum ai reati per cui sono state pronunciate le condanne rilevanti nei giudizi a quibus e alle istanze di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro (diversamente dal petitum formulato dal ricorrente esteso anche al rilascio di detto titolo) e ripercorsa l’evoluzione della disciplina legislativa che ha determinato la configurazione come reati ostativi di quelli oggetto di censura, la Corte procede all’esame delle questioni di legittimità sollevate dal Consiglio di Stato avvalendosi del cd. test di proporzionalità conformemente alla sua precedente giurisprudenza che espressamente richiama (ex plurimis, sentenze n. 260 del 2021, n. 20 del 2019, n. 137 del 2018). Invero, la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno di uno straniero nel territorio nazionale soggiace all’ampia discrezionalità del legislatore (ex plurimis, sentenze n. 277 del 2014, n. 148 del 2008, n. 206 del 2006, n. 62 del 1994), che non è tuttavia assoluta «dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti soprattutto quando la disciplina dell’immigrazione sia suscettibile di incidere sui diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino» (sentenza n. 202 del 2013; in precedenza, anche sentenze n. 172 del 2012, n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010, n. 78 del 2005)». Ciò ha indotto in passato la Corte «a caducare disposizioni legislative che, nella materia della immigrazione, introducevano automatismi tali da incidere in modo sproporzionato e irragionevole sui diritti fondamentali degli stranieri» (sentenze n. 245 del 2011, n. 299 e n. 249 del 2010). Peraltro, tali arresti giurisprudenziali sono coerenti con gli orientamenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di espulsione dello straniero e art. 8 Cedu (si richiamano in particolare la sentenza della grande camera, Üner c. Olanda, del 18 ottobre 2006 e la sentenza della quarta sezione, Otite c. Regno Unito, del 27 settembre 2022).
Facendo applicazione di questi principi la Corte evidenzia un primo elemento di irragionevolezza manifesta della normativa censurata: uno straniero condannato per violazione dell’art. 73 co. 5 d.P.R. n. 309/1990 (per cui è previsto il regime dell’arresto facoltativo) potrebbe essere ammesso alla regolarizzazione (in forza della sent. n. 172/2012) ma, in ragione di quella condanna, il permesso non potrebbe essere rinnovato. Inoltre, risulterebbe contrario al principio di proporzionalità - alla luce dell’art. 8 CEDU - escludere a priori una valutazione della pericolosità da parte della Autorità amministrativa tenuta al rilascio del titolo di soggiorno potendo lo straniero risultare, pur avendo commesso il reato, non pericoloso alla luce delle circostanze del fatto, del tempo ormai trascorso, del percorso rieducativo compiuto. Ulteriore argomento si desume peraltro dalla disciplina dei permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ex art. 9 d.lgs. 286/1998 per la quale non opera l’automatismo: la Corte costituzionale (sent. n. 54/2022) ha, invero, escluso che in tema di godimento di diritti fondamentali possano sussistere differenziazioni tra soggiornanti di lungo periodo e coloro che risiedono in Italia in forza di un permesso ordinario.
Infine, la Corte afferma che l’interesse statuale alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza non sono pregiudicati dal compimento da parte della autorità amministrativa di pubblica sicurezza di una valutazione in concreto della pericolosità sociale dello straniero che, condannato per il reato in questione, si accinga a rinnovare il suo permesso di soggiorno per lavoro.
In conclusione, la Corte ritiene superabile il suo precedente approccio ermeneutico (sent. n. 148/2008) alla luce della evoluzione della giurisprudenza costituzionale e convenzionale in tema di proporzionalità.
Le stesse argomentazioni valgono anche per l’automatismo ostativo delle condanne per violazione dell’art. 474 co. 2 c.p.