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La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 538 c.p.p., sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Firenze, nella parte in cui tale disposizione non prevede che il giudice possa decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 ss. c.p.p., anche quando pronuncia sentenza di assoluzione dell’imputato in quanto non imputabile, per essere, nel momento in cui ha commesso il fatto, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere e di volere.
Secondo la Consulta, le asserite violazioni dell’art. 3 Cost., del diritto di difesa del danneggiato costituitosi parte civile (art. 24 Cost.) e del principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) non sono ravvisabili nel caso considerato. L’assetto espresso dalla norma censurata – in quanto munito di un suo fondamento logico-sistematico (ispirato al favor separationis) e tale da non impedire all’interessato di conseguire altrimenti il riconoscimento dei suoi diritti – si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo. La Corte ha specificato, peraltro, come il legislatore resti certamente libero, nella sua discrezionalità, di introdurre, in vista di una più efficace tutela della persona danneggiata dal reato e del conseguimento di maggiori risparmi complessivi di risorse giudiziarie, una disciplina ampliativa dei casi nei quali il giudice penale si pronuncia sulle questioni civili, pur in assenza di una condanna dell’imputato (casi oggi ristretti alle ipotesi di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, di cui all’art. 578 c.p.p.).
A.C.