Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Declaratoria di estinzione del reato senza contraddittorio e interesse a impugnare: la Consulta dichiara incostituzionale l’art. 568, co. 4, c.p.p. – Corte cost., n. 111 del 2022

Anna Maria Capitta


Con la sentenza n. 111 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost., dell’art. 568, co. 4, c.p.p., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse a impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Delimitato, preliminarmente, l’oggetto delle questioni all’art. 568, co. 4, c.p.p. (mentre il petitum formulato dalla Corte di cassazione rimettente riguardava il combinato disposto degli artt. 129, 568, co. 4, 591, co. 1, lett. a), 601, 605 e 620 c.p.p.), la Consulta ha chiarito che non è questa disposizione in quanto tale – in tema di interesse a proporre impugnazione – a venire in discussione nel giudizio di costituzionalità, bensì l’interpretazione che di essa ha dato il «diritto vivente», nella specifica situazione in cui si sia in presenza di una sentenza predibattimentale di appello, adottata in assenza di contraddittorio e senza avviso alle parti, dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta nelle more della celebrazione del giudizio di appello.
La Corte rimettente si duole, invero, della interpretazione data dal diritto vivente alle disposizioni censurate – che si rivelerebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. – e, più precisamente, non ritiene di condividere il principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, secondo cui, nell’ipotesi di sentenza predibattimentale di appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, «la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, co. 2, c.p.p.» (Cass., Sez. un., 27 aprile 2017, n. 28954, Iannelli, in Mass. Uff., n. 269810). Secondo tale regola giurisprudenziale, la sentenza dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione emessa dalla Corte di appello in questa fattispecie non sarebbe da annullare; al contrario, il Collegio rimettente reputa che tale decisione, emessa de plano, debba essere annullata dalla Corte di cassazione, con trasmissione degli atti alla Corte di appello per il giudizio nel contraddittorio delle parti. Infatti, una sentenza sul merito dell’azione penale pronunziata senza alcuna forma di interlocuzione con la difesa dell’imputato sarebbe, ad avviso della Sezione rimettente, una decisione emessa «al di fuori di un giudizio», nulla per assenza del processo, rispetto alla quale non potrebbe operare la regola della prevalenza della formula terminativa del procedimento per una delle ipotesi previste dall’art. 129, co. 1, c.p.p.
In punto di rilevanza delle questioni, la Corte costituzionale ha chiarito come nel giudizio principale venga in rilievo l’applicazione della “contestata” regola della prevalenza della causa estintiva del reato sulla declaratoria di nullità della sentenza predibattimentale impugnata, con riferimento all’ipotesi – ricorrente nel caso di specie – in cui l’imputato non abbia rinunciato alla prescrizione. L’eventuale esistenza di un possibile, diverso interesse di una delle parti private, idoneo a corroborare il superamento della regola di elaborazione giurisprudenziale non inficia – secondo la Corte – la rilevanza delle questioni.
La Consulta ha ritenuto fondate le questioni sollevate dalla Corte di cassazione, in riferimento agli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost.
Nelle argomentazioni a supporto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 568, co. 4, c.p.p., il Giudice delle leggi ha rilevato che l’interesse a impugnare per conseguire la declaratoria di nullità di una sentenza di appello di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione emessa de plano, senza alcuna attivazione del contraddittorio tra le parti, e dunque al di fuori di un «giusto processo» ex art. 111 Cost., non è bilanciabile con le esigenze di ragionevole durata sottese all’operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p. Infatti – ha ribadito la Corte – il diritto di difesa e il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del «giusto» processo, quale delineato proprio dall’art. 111 Cost. «Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata» (sent. cost. n. 317 del 2009).
Infine, dopo aver ricordato che nel giudizio di appello non è consentita la pronuncia di una sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell’art. 469 c.p.p., la Consulta ha concluso affermando che la sostanziale soppressione di un grado di giudizio, conseguente alla forma predibattimentale della sentenza di appello, non soltanto non trova fondamento nel codice di rito, ma, essendo adottata in assenza di contraddittorio, limita l’emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e comprime la stessa facoltà dell’imputato di rinunciare alla prescrizione, in maniera non più recuperabile nel giudizio di legittimità, la cui cognizione è fisiologicamente più limitata rispetto a quella del giudice di merito.