Con la sentenza n. 19 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 456, co. 2, c.p.p., per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova.
La Consulta ha anzitutto richiamato la propria costante giurisprudenza secondo cui la richiesta di riti alternativi – tra i quali è compreso l’istituto della messa alla prova (sent. cost. n. 131 del 2019, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015) – costituisce una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa (sent. cost. n. 237 del 2012, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004 e n. 497 del 1995). Ciò posto, ne deriva che «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi», la omissione di un esatto e tempestivo avviso all’imputato della sua facoltà di richiedere tali riti speciali comporta la violazione del diritto di difesa (sent. cost. n. 201 del 2016; in senso conforme, sent. 148 del 2004).
La Corte ha ribadito queste affermazioni con riferimento alla disciplina oggetto della questione sollevata: poiché anche nel giudizio immediato il termine entro cui chiedere i riti alternativi a contenuto premiale è anticipato rispetto al dibattimento, l’eventuale omissione del relativo avviso può «determinare un pregiudizio irreparabile» del diritto di difesa, analogamente a quanto avviene con riguardo al procedimento per decreto (sent. cost. n. 201 del 2016).
L’omesso o inesatto avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova – ha precisato il Giudice delle leggi – determina una nullità di ordine generale (art. 178, co. 1, lett. c, c.p.p.) del decreto che dispone il giudizio immediato.
Infine, la Consulta ha ritenuto assorbita l’ulteriore censura formulata dal rimettente in riferimento all’art. 3 Cost.