La Corte costituzionale, in accoglimento della questione sollevata dalla Corte d’appello di Ancona, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della L. 5 dicembre 2015 n. 251, in riferimento agli artt. 3, 25 secondo comma e 27 terzo comma Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, del codice penale. Inquadrata la disciplina delle deroghe al giudizio di bilanciamento progressivamente introdotte per escludere la soccombenza di circostanze aggravanti cd. privilegiate rispetto ad eventuali attenuanti, nell’ambito delle scelte riservate al legislatore sindacabili solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio, la Corte giudica altrettanto manifestamente irragionevoli le conseguenze sanzionatorie derivanti dal divieto di prevalenza della circostanza ad effetto speciale di cui all’art. 219, comma terzo, RD 267/1942 sulla recidiva reiterata, attesa la notevole divaricazione tra le cornici edittali previste per le diverse ipotesi di cui agli artt. 216, 217 e 218 RD 267/1942 e quella stabilite per l’attenuante medesima, in ragione del ridotto tasso di offensività corrispondente al danno patrimoniale di speciale tenuità. In particolare, la Corte ritiene che il trattamento sanzionatorio, significativamente più mite, assicurato in tal modo ai fatti di bancarotta esprime una dimensione offensiva la cui effettiva portata è disconosciuta dalla norma censurata che, piuttosto, indirizza l’individuazione della pena concreta verso un’abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata a detrimento di quelle oggettive del reato: ciò in quanto i profili di colpevolezza pericolosità, pur essendo pertinenti al reato, non possono assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli prevalenti rispetto al fatto oggettivo. Ne deriva, come invocato nell’ordinanza di remissione, un’applicazione irragionevole della stessa pena a fatti oggettivamente diversi in modo non rispettoso del principio di offensività, con conseguente violazione degli artt. 3 e 25, secondo co., Cost. Ad essere violato, infine, come pure sostenuto dal giudice a quo, il principio di proporzionalità della pena, quale corollario della sua funzione tendenzialmente rieducativa ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost. in quanto il divieto legislativo di soccombenza della recidiva reiterata rispetto all’attenuante di cui all’art. 217, terzo comma, RD 267/1942 impedisce l’applicazione della diminuzione stabilita per i casi di danno patrimoniale di speciale tenuità, necessaria pur sempre a garantire proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da un lato, e offesa, dall’altro. (Sentenze cost. correlate: nn. 391/1994, 249/2010, 68/2012, 251/2012, 105/2014, 106/2014). D. Piva