Con la sentenza n. 85 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., dell’art. 2-quinquies, co. 1, D.L. 30 aprile 2020, n. 28 (Misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario), convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 2020, n. 70, nella parte in cui non prevede, al terzo periodo, dopo le parole «Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del co. 1 dell’articolo 4-bis della L. 26 luglio 1975, n. 354,», le parole «per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto,».
Il Magistrato di sorveglianza di Padova aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, nonché all’art. 3, § 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e all’art. 24, § 2, CDFUE, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, co. 1, d.l. n. 28 del 2020, come convertito, «nella parte in cui prevede che l’autorizzazione ai colloqui con i figli minori non può essere concessa più di una volta alla settimana nel caso di detenuti per reati ex art. 4-bis ord. penit. per i quali non sussiste il divieto di concessione dei benefici ex art. 4-bis, l. 26 luglio 1975 n. 354».
La Corte ha dichiarato fondata la questione formulata in riferimento all’art. 3 Cost., ritenendo assorbito l’esame di ogni ulteriore profilo di censura.
La motivazione della sentenza si incentra, dunque, sull’esame della questione promossa in riferimento all’art. 3 Cost., in ordine alla quale la Consulta, in sintesi, ha stabilito che, se un detenuto è stato condannato per un reato compreso nell’elenco dell’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit., ma ha in concreto accesso a tutti i benefici penitenziari, è irragionevole sottoporlo a un regime più restrittivo rispetto a quello ordinario solo per quanto riguarda i colloqui telefonici con i propri figli minori.
Il rimettente aveva dubitato della compatibilità della disposizione censurata con l’art. 3 Cost. sotto un duplice profilo: in primo luogo, per la irragionevolezza intrinseca della disposizione stessa; in secondo luogo, per l’irragionevole disparità di trattamento da essa creata tra il regime relativo alla corrispondenza telefonica vigente per i detenuti e internati per delitti di cui all’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit., ai quali non si applichi il divieto di benefici ivi previsto, da un lato, e il regime applicabile in favore dei detenuti e internati per la generalità degli altri reati, dall’altro.
Sotto quest’ultimo profilo, il giudice a quo aveva lamentato che la disposizione in questione sottoponesse alle medesime e più gravose regole in materia di corrispondenza telefonica l’intero insieme dei detenuti per i reati elencati nell’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit., senza distinguere tra quelli che non hanno accesso ai benefici e quelli che invece ne possono usufruire. La disciplina applicabile a questi ultimi avrebbe dovuto invece, nella prospettiva del rimettente, essere equiparata a quella dei detenuti “ordinari”.
La Corte ha anzitutto ricordato che l’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. prevede un regime penitenziario differenziato per i detenuti e internati per una serie di gravi reati, per lo più commessi in contesti di criminalità organizzata (c.d. “reati ostativi”): questo regime è imperniato sulla preclusione all’accesso ai benefici penitenziari in assenza di collaborazione con la giustizia. Tale meccanismo preclusivo non opera, tuttavia, rispetto a tre specifici sottoinsiemi di detenuti per i delitti ivi elencati: quelli che collaborino con la giustizia; quelli che abbiano commesso il reato prima dell’entrata in vigore del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, come convertito, i quali non collaborino con la giustizia, ma nei cui confronti sia stata riconosciuta la collaborazione “impossibile”, “inesigibile” o “irrilevante” alle condizioni oggi indicate dall’art. 3, co. 2, del medesimo decreto-legge, applicandosi agli stessi il regime ordinario di accesso ai benefici; quelli che non collaborino con la giustizia, ma rispetto ai quali sussistano le condizioni indicate dal co. 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit., nel testo oggi vigente, e ai quali pure si applica il regime ordinario di accesso ai benefici. In particolare, il d.l. n. 162 del 2022 ha previsto in via generale (a prescindere dal ricorrere delle ipotesi di cui al previgente co. 1-bis) che i condannati per i reati di cui al co. 1, pur in assenza di collaborazione con la giustizia, possano comunque accedere ai benefici ivi indicati, in presenza di un’articolata serie di condizioni, tra le quali, l’allegazione di «elementi specifici» che «consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile» (co. 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit., testo vigente). La Consulta ha rammentato come la nuova disciplina del co. 1-bis intenda dettare un meccanismo di presunzione “relativa” di mantenimento dei legami del detenuto con l’organizzazione di appartenenza, che può essere superata alle condizioni ivi indicate.
Alla luce di questa ricostruzione normativa, la Corte ha osservato che, ogniqualvolta venga superata la presunzione di persistenza dei collegamenti con la criminalità organizzata, vengono meno al contempo le ragioni di una disciplina penitenziaria derogatoria sfavorevole rispetto a quella valevole per la generalità degli altri condannati.
Una disciplina derogatoria in peius per questo sottoinsieme di detenuti non potrebbe infatti giustificarsi, sul piano costituzionale, sulla base di ragioni puramente afflittive, in risposta alla particolare gravità dei delitti elencati nel co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit.
La Corte ha sottolineato icasticamente che ogni disciplina – come quella dell’art. 4-bis ord. penit. – che, a parità di pena inflitta, deroga in senso peggiorativo al regime penitenziario ordinario può trovare legittimazione sul piano costituzionale – al cospetto della necessaria finalità rieducativa della pena di cui all’art. 27, co. 3, Cost. – soltanto in quanto sia necessaria e proporzionata rispetto al contenimento di una speciale pericolosità sociale del condannato (cfr., sent. cost. n. 149 del 2018); e non, invece, in chiave di ulteriore punizione in ragione della speciale gravità del reato commesso. È, infatti, la misura della pena che nel nostro ordinamento deve riflettere la gravità del reato, non già la severità del regime penitenziario.
La disposizione censurata attiene alla corrispondenza telefonica del detenuto aggiuntiva o “supplementare” rispetto a quella già prevista dall’art. 39 Reg. penit. e detta una regola – applicabile all’intero insieme dei detenuti per i delitti previsti dall’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit. – più restrittiva rispetto a quella che vale per la generalità degli altri detenuti e internati. In particolare, questi ultimi possono essere ammessi a una telefonata “supplementare” giornaliera con i figli minori o con i figli maggiorenni portatori di una disabilità grave, ovvero con speciali categorie di familiari. Tutti i detenuti per i delitti previsti dall’art. 4-bis, co. 1, primo per., ord. penit., invece, sono ammessi a una sola telefonata settimanale con le medesime persone. La Consulta ha rilevato che, laddove la presunzione di persistenza dei legami con l’associazione criminosa, per qualsiasi motivo, non operi, è irragionevole escludere tali detenuti per delitti ostativi – i quali possono beneficiare di misure che comportano l’uscita dal carcere – dall’applicazione delle regole ordinarie che vigono, in carcere, per la generalità dei detenuti, ovvero sottoporli a regole più restrittive.
Nello specifico, il Giudice delle leggi ha ritenuto che la reductio ad legitimitatem della disposizione censurata possa essere effettuata semplicemente aggiungendo al terzo periodo la specificazione «per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto,» subito dopo l’inciso iniziale del terzo periodo «[q]uando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354». In tal modo, la regola speciale più restrittiva dettata dal terzo periodo – una sola telefonata a settimana – non varrà per i detenuti ai quali, per qualsiasi ragione, non si applichi il divieto di benefici previsto dall’art. 4-bis, co. 1, ord. penit. A questi detenuti sarà invece applicabile la regola generale di una telefonata giornaliera, dettata dal secondo periodo della disposizione in esame.
La Corte ha infine precisato che le questioni sottoposte al suo esame con l’ordinanza di rimessione si riferivano, nella loro formulazione letterale, alla corrispondenza telefonica “supplementare” con il solo figlio minore e che, tuttavia, l’addizione dell’inciso «per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto,» nel terzo periodo determinerà l’applicazione della regola generale di cui al secondo periodo anche a tutte le altre categorie di familiari in esso elencate, rispetto alle quali è comunque importante assicurare la possibilità di contatti con il congiunto detenuto.