Con la sentenza n. 56 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., dell’art. 47-ter, co. 01, ord. penit., limitatamente alle parole «né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale».
Cade dunque la preclusione assoluta alla concessione della detenzione domiciliare per il condannato ultrasettantenne già dichiarato recidivo. La magistratura di sorveglianza dovrà valutare caso per caso se il condannato sia meritevole di essere ammesso alla misura alternativa in esame, tenuto conto anche della sua eventuale residua pericolosità sociale.
La Corte ha anzitutto ricostruito la ratio sottesa alla disciplina oggetto di censura, osservando che la detenzione domiciliare per gli ultrasettantenni, più che all’obiettivo della rieducazione del condannato, appare ispirata al principio di umanità della pena, sancito dall’art. 27, co. 3, Cost.
Ciò premesso, i giudici costituzionali hanno rilevato l’anomalia della disposizione censurata: l’unica, nell’intero corpus dell’ordinamento penitenziario, che fa discendere conseguenze radicalmente preclusive di una misura alternativa a carico di chi sia stato condannato con l’aggravante della recidiva. La Consulta ha osservato che la valutazione individualizzata di maggiore pericolosità sociale compiuta dal giudice di cognizione al momento della condanna è formulata unicamente ai fini della quantificazione della pena da infliggere e, dunque, non è né attuale né specifica rispetto alle ragioni che potrebbero giustificare l’esecuzione della pena nella forma della detenzione domiciliare. Invece, da quel giudizio individualizzato la disposizione censurata fa discendere una conseguenza automatica in relazione alla differente questione se il condannato debba essere ammesso a scontare la propria pena in regime di detenzione domiciliare anziché all’interno del carcere, alla luce di tutti i fattori che normalmente sono presi in considerazione dal giudice di sorveglianza. Tra questi fattori – sottolinea la Corte – spiccano i cambiamenti avvenuti nella persona del reo e il percorso rieducativo già intrapreso dal condannato dopo la sentenza, nonché l’eventuale periodo di esecuzione intramuraria e la conseguente sofferenza addizionale connessa alla permanenza in carcere da parte di un soggetto in età avanzata.
Pertanto, la Consulta ha ritenuto irragionevole la preclusione assoluta stabilita dalla norma oggetto di censura, anche in rapporto ai principi di rieducazione e di umanità della pena. La pronuncia in esame si pone in linea con la costante giurisprudenza costituzionale che considera contrarie agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost. le preclusioni assolute all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione (v. sent. cost. n. 253 del 2019, n. 149 del 2018, n. 291 del 2010, n. 189 del 2010).