Con sentenza n. 219 depositata l’11 dicembre 2023, all’esito dell’udienza dell’8 novembre 2023 la Corte ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate con ordinanza del 12 dicembre 2022 dal Magistrato di sorveglianza di Cosenza in ordine all’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3 e 31, comma 2, Cost. nella parte prevedono una disciplina diversa per la concessione della detenzione domiciliare “ordinaria” della madre e del padre di minori di anni sedici: la prima, infatti, può essere ammessa alla sola condizione che il figlio sia con lei convivente e abbia meno di dieci anni, ove non sussistano ragioni ostative in considerazione della sua pericolosità sociale, mentre il secondo deve altresì dimostrare che la madre sia deceduta o sia assolutamente impossibilitata a dargli assistenza. Ciò in contrasto, secondo la prospettazione del giudice a quo, da un lato, con l’interesse del minore «di valenza tale da atteggiarsi alla stregua di valore/guida “preminente” anche in forza di fonti di rango sovranazionale» (tra cui in particolare l’art. 9, paragrafo 3, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 nonché l’art. 34, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come peraltro richiamate dalla stessa Corte Cost. nelle sentenze n. 187 del 2019, n. 76 e n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014) e, dall’altro lato, con il canone di “ragionevolezza” sotto il profilo della intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità rispetto al diritto inviolabile alla cd. “bigenitorialità”.
Individuato l’oggetto della questione nella sola disposizione di cui alla lett. b) dell’art. 47-ter, comma 1, L. 254/1975 e rigettate le eccezioni sul difetto di rilevanza pur avanzate dall’Avvocatura dello Stato, la Corte, anzitutto, limita il devolutum al giudizio sul diritto del minore a una relazione continuativa con entrambi i genitori, come riconosciuto, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 315-bis commi 1 e 2 nonché 337-ter comma 1 c.c. nonché da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea già richiamati nella sua stessa giurisprudenza (sentenza n. 102 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto; in senso analogo, sentenze n. 105 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto, n. 187 del 2019, punto 4.1. del Considerato in diritto, n. 76 del 2017, punto 2.2. del Considerato in diritto, e ivi ulteriori riferimenti), quali espressioni di un interesse “preminente” del minore (da ultimo, sentenze n. 183 del 2023, punto 13.3. del Considerato in diritto, e n. 105 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto) che, tuttavia, non ne assicura l’automatica prevalenza su ogni altro interesse, individuale o collettivo a prescindere da un giudizio di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, come quelle di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena” (sentenze n. 174 del 2018, n. 30 del 2022, n. 105 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto, n. 187 del 2019, punto 4.4. del Considerato in diritto e n. 76 del 2017, punto 2.2. del Considerato in diritto). A meno di sostenere, infatti, che l’esecuzione di una pena detentiva sia sempre costituzionalmente illegittima allorché la persona interessata abbia un figlio minorenne, è giocoforza ammettere, secondo la Corte, che la compressione dell’interesse di quest’ultimo al rapporto con il genitore detenuto o internato costituisca, a certe condizioni, una conseguenza inevitabile, e costituzionalmente non censurabile, dell’esecuzione della pena volta peraltro a garantire un percorso rieducativo al condannato (art. 27, comma 3, Cost.), essendo comunque soddisfatto il basilare interesse del minore a godere di una relazione diretta almeno con uno dei due genitori proprio dalla vigente disciplina che assicura al padre che sia stato condannato a pena detentiva ed eserciti la responsabilità genitoriale la medesima possibilità di accesso alla misura alternativa attualmente riservata alla madre, ove quest’ultima sia deceduta o sia altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole (art. 47-ter, comma 1, lettera b, e art. 47-quinquies, comma 7, ordin. penit.), a condizione che il condannato o la condannata non presentino una spiccata pericolosità criminale, come si evince dall’art. 47-quinquies, comma 1, ordin. penit. per quanto concerne la detenzione domiciliare speciale ovvero dalla costante giurisprudenza di legittimità per quanto concerne quella ordinaria (Cass., Sez. I, 27 dicembre 2022, n. 49276). In questo ambito, si evidenzia, però, che la scelta di fondo del legislatore è stata quella «di assicurare in via primaria il rapporto del minore con la madre» ampliando, nel tempo, la possibilità di accesso a forme di esecuzione extramuraria, anche in ragione della ridotta proporzione di donne nell’ambito della complessiva popolazione carceraria femminile (pari, secondo le statistiche del Ministero della giustizia alla data del 30 novembre 2023, a 2.549 unità rispetto a un totale di 60.166 detenuti, e dunque a circa il 4 per cento della popolazione carceraria). In conclusione, sebbene l’estensione delle medesime regole vigenti oggi per le detenute madri anche ai detenuti padri potrebbe essere valutata dal legislatore nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli interessi individuali e collettivi coinvolti, allo stato essa non può essere ritenuta costituzionalmente necessaria dal punto di vista della tutela degli interessi del bambino a mantenere un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori che la disciplina vigente indubitabilmente assicura.