Con la sentenza n. 18 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3, co. 1 e 2, e dell’art. 31, co. 2, Cost., dell’art. 47-quinquies, co. 1, legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di figli affetti da handicap grave ai sensi dell’art. 3, co. 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ritualmente accertato in base alla medesima legge.
La Consulta ha dunque stabilito che «le madri di figli gravemente disabili possono scontare la pena in detenzione domiciliare, qualunque siano l’età del figlio e la durata della pena, sempre che il giudice non riscontri in concreto un pericolo per la sicurezza pubblica» (Comunicato Stampa della Corte costituzionale del 14 febbraio 2020).
Sul solco di quanto già affermato nella sentenza n. 350 del 2003 a proposito della detenzione domiciliare ordinaria, la Corte ha ritenuto che il limite di età dei dieci anni previsto dall’art. 47-quinquies, co. 1, ord. penit. si ponga in contrasto con i principi costituzionali di cui all’art. 3, co. 1 e 2, Cost., unitamente a quello di cui all’art. 31, co. 2, Cost. Questi principi esigono che anche la misura della detenzione domiciliare speciale – finalizzata principalmente a tutelare il figlio, terzo incolpevole e bisognoso del rapporto quotidiano e delle cure della madre detenuta – debba estendersi all’ipotesi del figlio portatore di grave disabilità, il quale si trova sempre in condizioni di particolare vulnerabilità fisica e psichica, indipendentemente dall’età.
Nei casi di disabilità grave, infatti, l’autonomia personale è così ridotta «da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione» a qualunque età (art. 3, co. 3, l. n. 104 del 1992). Il dato di esperienza, anzi, rivela che le condizioni di vita e di salute delle persone colpite da disabilità grave tendono ad aggravarsi e ad acuirsi con l’avanzare dell’età. Perciò, la Corte ha ritenuto che delimitare il beneficio penitenziario in questione in ragione di un parametro meramente anagrafico è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3, co. 1, Cost, quando si tratta di persona gravemente disabile.
La sentenza in esame si inserisce nell’ambito di una ricca e costante giurisprudenza costituzionale che considera le relazioni umane, specie quelle di tipo familiare, fattori determinanti per il pieno sviluppo e la tutela effettiva delle persone più fragili, e ciò in base al principio personalista garantito dalla nostra Costituzione. La Corte ha richiamato in proposito quanto già affermato, tra l’altro, nella sentenza n. 232 del 2018, e cioè che il diritto del disabile di «ricevere assistenza nell’àmbito della sua comunità di vita» rappresenta «il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana», a norma dell’art. 3, co. 2, Cost.
La Consulta ha inoltre sottolineato che la detenzione domiciliare debba essere concessa alla madre di un figlio gravemente disabile, qualunque sia l’età, anche in nome della tutela della maternità – prevista dall’art. 31, co. 2, Cost. – cioè del legame tra madre e figlio, che non può considerarsi esaurito dopo le prime fasi di vita del bambino. Dunque, il parametro di cui all’art. 31, co. 2, Cost., pure invocato dalla Corte di cassazione rimettente, va letto unitamente a quello di cui all’art. 3, co. 2, Cost., giacché «la possibilità di concedere la detenzione domiciliare al genitore condannato, convivente con un figlio totalmente handicappato, appare funzionale all’impegno della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità» (sent. cost. n. 350 del 2003).
Va rilevato che, a differenza di quanto statuito nella sentenza n. 350 del 2003 con riguardo alla custodia domestica ordinaria, la decisione in commento non estende la concessione della detenzione domiciliare speciale anche nei confronti dei detenuti, padri di figli affetti da handicap grave, nei casi previsti dall’art. 47-quinquies, co. 7, ord. penit.
Infine, il Giudice delle leggi ha precisato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale non incide sugli ulteriori requisiti per la concessione della misura. Resta fermo, pertanto, il presupposto in base al quale la detenzione domiciliare di cui all’art. 47-quinquies, co. 1, ord. penit. è concessa solo «se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti». Sulla scorta di precedenti pronunce di analogo tenore (sent. cost. n. 187 e n. 99 del 2019, n. 211 del 2018, n. 76 del 2017 e n. 239 del 2014), la Corte ha ribadito che spetterà al giudice il bilanciamento in concreto di tutti i beni in gioco: le esigenze di cura del disabile, così come quelle parimenti imprescindibili della difesa sociale e di contrasto alla criminalità.