Con l’ordinanza n. 214 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, co. 1-bis, c.p.p., come introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. a), L. 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia, quanto meno nella parte in cui non consente all’imputato di un delitto astrattamente punibile con l’ergastolo di essere giudicato con rito abbreviato quando sia possibile ipotizzare, sulla base di dati certi relativi al fatto o alla persona dell’imputato, l’irrogazione di una pena diversa dall’ergastolo in caso di condanna.
Sulla scorta della sentenza n. 260 del 2020, la Consulta ha ribadito che rientra tra le scelte discrezionali del legislatore la previsione di una disciplina che riconnette il divieto di giudizio abbreviato alla comminatoria astratta della pena dell’ergastolo. Nella pronuncia n. 260 del 2020 si era rimarcata infatti la non manifesta irragionevolezza e la non arbitrarietà della scelta legislativa di ancorare la preclusione del rito speciale alla pena edittale più grave prevista nel nostro ordinamento (v., in precedenza, ord. cost. n. 163 del 1992).
In questa ordinanza, in particolare, la Corte ha ritenuto che la scelta legislativa censurata non può essere considerata manifestamente irragionevole o arbitraria nemmeno nell’ipotesi in cui la circostanza aggravante dalla quale dipende l’applicabilità dell’ergastolo sia ritenuta equivalente o soccombente rispetto a una circostanza attenuante, come il vizio parziale di mente, con conseguente irrogazione in concreto di una pena detentiva temporanea.