Con la sentenza n. 28 del 1° febbraio 2022 la Corte Costituzionale - in relazione alle questioni sollevate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Ravenna e di Taranto, rispettivamente con ordinanze del 5 ottobre 2020 e del 14 aprile 2021 – a prescindere da ravvisati profili di inammissibilità, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 53, secondo comma, della legge 24 novembre 1981 n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui prevede che «il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale [ad oggi di 250 euro] non può superare di dieci volte tale ammontare», anziché «il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall’art. 135 del codice penale».
Premesso, infatti, un richiamo al manifesta sproporzione come limite alla discrezionalità legislativa sia in relazione alle pene previste per altre figure di reato (sentenze n. 88 del 2019, n. 68 del 2012, n. 409 del 1989, n. 218 del 1974), sia rispetto alla intrinseca gravità delle condotte abbracciate da una singola figura di reato (sentenze n. 136 e 73 del 2020, n. 284 e 40 del 2019, n. 222 del 2018, n. 236 del 2016, n. 341 del 1994), la Corte si sofferma sul principio di eguaglianza “sostanziale” (art. 3, comma 2, Cost.) che impone di parametrare la sanzione pecuniaria alle condizioni economiche del reo, come del resto già avviene in diversi contesti normativi (artt. 133-bis c.p., art. 11 l. 689/1981 o 194-bis d.lgs. 58/1998) anche stranieri (si citano, ad esempio, i sistemi di tassi giornalieri di cui agli artt. 131-5 del codice penale francese, al § 40 del codice penale tedesco, al § 19 del codice penale austriaco, all’art. 50 del codice penale spagnolo e all’art. 47 del codice penale portoghese).
In quest’ottica, come dimostra il giudizio a quo, anche nei casi di modesta gravità una quota giornaliera di 250 euro, moltiplicata poi per il numero di giorni di pena detentiva da sostituire, appare, dunque, ben superiore a quella che la gran parte delle persone che vivono oggi nel nostro Paese sono ragionevolmente in grado di pagare, in relazione alle proprie disponibilità reddituali e patrimoniali, tanto da determinare di fatto - come già rilevato nella sentenza n. 15 del 2020 - una drastica compressione del ricorso al meccanismo della sostituzione.
Tali considerazioni, peraltro, appaiono pienamente conformi a quanto ora previsto dall’art. 1, comma 17, lettera l), della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), con cui si delega il Governo a prevedere che il valore giornaliero, al quale può essere assoggettato il condannato in caso di sostituzione della pena detentiva, debba essere piuttosto individuato nel minimo «in misura indipendente dalla somma indicata dall’art. 135 del codice penale», così da «evitare che la sostituzione della pena risulti eccessivamente onerosa in rapporto alle condizioni economiche del condannato e del suo nucleo familiare, consentendo al giudice di adeguare la sanzione sostitutiva alle condizioni economiche e di vita del condannato».
Ciò posto, la Corte si rende conto che la semplice ablazione della disposizione censurata renderebbe impossibile la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, pregiudicando ulteriormente la funzionalità di uno strumento già sottoutilizzato, con «insostenibile vuoto di tutela» per interessi costituzionalmente rilevanti (sentenze n. 185 del 2021 e n. 222 del 2018).
Nondimeno, a giudizio della Corte si rinvengono nel sistema soluzioni normative adeguate a porre rimedio agli accertati vizi di legittimità costituzionale, come quella suggerita nel medesimo petitum formulato in via principale dal giudice rimettente consistente nella sostituzione del minimo di 250 euro con quello di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva sostituita, stabilito dall’art. 459, comma 1-bis, c.p.p. in relazione al decreto penale di condanna. Ferma restando – si afferma in conclusione - la stringente opportunità che il legislatore intervenga, nell’attuazione della delega stessa ovvero mediante interventi normativi ad hoc, a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale (sentenza n. 279 del 2019) «nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l’effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei» (sentenza n. 15 del 2020).