Con l’ordinanza n. 227 del 2022, depositata il 10 novembre 2022, la Corte costituzionale ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di cassazione, prima sezione penale, relative alla disciplina del c.d. ergastolo ostativo e ha ordinato la restituzione degli atti al giudice rimettente, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, che ha inciso sulle disposizioni oggetto del giudizio di legittimità costituzionale. Spetterà, pertanto, alla Corte di cassazione valutare la portata applicativa dello ius superveniens nel giudizio a quo, anche all’esito del procedimento di conversione del d.l. n. 162 del 2022.
La Corte rimettente ha censurato non solo gli artt. 4-bis, co. 1, e 58-ter ord. penit., ma anche, in particolare, l’art. 2, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella L. 12 luglio 1991, n. 203, in base al cui co. 1 il regime speciale, previsto dall’art. 4-bis ord. penit., si estende anche alla disciplina della liberazione condizionale.
Oggetto dello scrutinio di legittimità costituzionale è stata quindi la normativa che non consente al condannato all’ergastolo per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, che non abbia collaborato con la giustizia e che abbia già scontato ventisei anni di carcere (anche grazie a provvedimenti di liberazione anticipata), di essere ammesso al beneficio della liberazione condizionale, in forza di una presunzione assoluta di mancata rescissione dei suoi legami con la criminalità organizzata, non superabile se non per effetto della collaborazione stessa.
Secondo la Consulta, la nuova disciplina contenuta nel d.l. n. 162 del 2022 – che prevede l’integrale sostituzione del co. 1-bis dell’art. 4-bis ord. penit, e l’aggiunta di due nuovi commi (1-bis.1 e 1-bis.2) – trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici e delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo.
Infatti, la disciplina della collaborazione impossibile o irrilevante – pur ancora applicabile, in forza della previsione di cui all’art. 3, co. 2, d.l. n. 162 del 2022 ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano commesso delitti previsti dal co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit. – viene sostituita dalla nuova regolamentazione dell’accesso ai benefici penitenziari, applicabile a tutti i detenuti e internati per reati “ostativi” che non collaborano con la giustizia.
In particolare, i benefici possono essere concessi ai condannati anche all’ergastolo, per reati di contesto mafioso e, in generale, di tipo associativo, purché costoro dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento, nonché alleghino elementi specifici – diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza – che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile, nonché, ancora, della sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa (art. 4-bis, co. 1-bis, ord. penit.). La Corte ha ricordato che ai detenuti per i restanti reati indicati dal co. 1 dell’art. 4-bis ord. penit. si richiede il rispetto delle medesime condizioni, depurate, tuttavia, da indicazioni non coerenti con la natura dei reati che vengono in rilievo, sicché la richiesta allegazione deve avere ad oggetto elementi idonei a escludere l’attualità dei collegamenti con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ma non anche il pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto (art. 4-bis, co. 1-bis.1, ord. penit.).
Inoltre, il nuovo d.l. n. 162 del 2022 prevede l’ampliamento delle fonti di conoscenza cui la magistratura di sorveglianza deve ricorrere e la modifica del relativo procedimento, nonché l’onere in capo al detenuto di fornire elementi di prova contraria quando dall’istruttoria svolta dovessero emergere informazioni che depongano a suo sfavore (cfr. art. 4-bis, co. 2, ord. penit.). E ancora, la Consulta ha rammentato che, per l’accesso alla liberazione condizionale del detenuto per reati “ostativi” non collaborante, la nuova formulazione dell’art. 2, co. 2, d.l. n. 152 del 1991 prevede un innalzamento della durata del periodo di pena da espiare (per quanto qui interessa, «almeno trenta anni di pena, quando vi è stata condanna all’ergastolo», in luogo dei precedenti ventisei).
Alla luce di questa nuova normativa, che – come si legge nella ordinanza in esame – rivela una complessiva modifica della disciplina interessata dalle questioni di legittimità costituzionale e che – sebbene introdotta da un decreto-legge ancora in corso di conversione – incide immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni medesime, la Consulta ha ritenuto necessario restituire gli atti al giudice a quo.
Alla Corte di cassazione spetta dunque verificare l’influenza della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una rivalutazione della loro non manifesta infondatezza, tenuto conto delle intervenute modifiche normative.
Va ricordato che, sulle stesse questioni, il Giudice delle leggi aveva a suo tempo disposto due rinvii, al fine di consentire al Parlamento di intervenire in modo organico sulla materia (ordinanze n. 97 del 2021 e n. 122 del 2022). La Corte, infatti, pur avendo illustrato le ragioni di incompatibilità con la Costituzione esibite dalla normativa censurata, aveva ritenuto che un proprio intervento meramente “demolitorio” avrebbe potuto comportare effetti disarmonici sulla complessiva disciplina in esame, compromettendo «le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa» (ord. n. 97 del 2021).