Con la sentenza n. 208 del 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, co. 1-bis, c.p.p., come introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. a), L. 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 111, co. 2, Cost., dal G.u.p. del Tribunale ordinario di Rimini, là dove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo.
Secondo il giudice rimettente, nel caso in cui il prevedibile esito del processo sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d’assise non avrebbe alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali, neppure funzionale alle esigenze difensive dell’imputato.
Sulla scorta della sentenza n. 260 del 2020, la Corte ha ritenuto che rientra tra le scelte discrezionali del legislatore la previsione di una disciplina mirante a imporre in ogni caso, per i delitti più gravi puniti con l’ergastolo, lo svolgimento di un processo pubblico innanzi alla corte d’assise e non a un giudice monocratico, con la partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia (art. 102, co. 3, Cost.) e con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime.
Questa finalità ispiratrice della l. n. 33 del 2019 – secondo la Corte – non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile, perché non imputabile.
La Consulta, pertanto, ha affermato come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità» (sent. n. 260 del 2020), ferma restando la possibilità per la corte d’assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.