Con la sentenza n. 2 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, co. 1-bis, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., dalla Corte di assise di Cassino. Tale disposizione, come introdotta dall’art. 1, co. 1, lett. a), L. 12 aprile 2019, n. 33, prevede che non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
Secondo la Corte rimettente, la disposizione censurata contrasterebbe, anzitutto, con gli artt. 3 e 27 Cost., perché il legislatore avrebbe irragionevolmente dettato una medesima preclusione processuale per ipotesi diverse, quali quelle riconducibili a fattispecie autonome di reato punite con la pena dell’ergastolo e quelle inerenti a fattispecie che pervengono a tale sanzione – come nel caso di cui al giudizio a quo – unicamente in ragione della contestazione di circostanze aggravanti. Inoltre, l’art. 438, co. 1-bis, c.p.p. sarebbe costituzionalmente illegittimo, per contrasto con i medesimi artt. 3 e 27 Cost., anche alla luce di quanto oggi prevede l’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., introdotto dal D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Infine, la norma censurata confliggerebbe con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., considerato che l’imputato, tratto a giudizio immediato, si vedrebbe privato della possibilità di accedere al giudizio abbreviato unicamente per effetto della contestazione di una circostanza aggravante operata dal pubblico ministero, senza che sia stato effettuato un vaglio ad opera di un giudice terzo e imparziale e senza la garanzia di un contraddittorio tra le parti.
La Consulta ha ritenuto le questioni non fondate.
Con riguardo alle irragionevoli equiparazioni di trattamento sanzionatorio tra fatti aventi disvalore differente e, nella specie, all’assoggettamento a una medesima preclusione degli imputati di delitti puniti, nella loro ipotesi base, con l’ergastolo (come il delitto di strage) e di quelli di delitti cui consegue la pena perpetua per effetto di circostanze aggravanti, la Corte ha richiamato quanto già chiarito a più riprese e, soprattutto, nella sentenza n. 260 del 2020. Secondo la Consulta, in casi del genere, la censura dovrebbe più correttamente appuntarsi sulla previsione che dispone la pena perpetua per i reati contestati nel giudizio a quo: nella vicenda in esame, l’omicidio aggravato dai motivi abietti e futili. La preclusione all’accesso al giudizio abbreviato costituisce null’altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell’ergastolo per quelle ipotesi criminose (ord. cost. n. 214 del 2021). Ma la previsione della pena dell’ergastolo per il reato contestato all’imputato non è stata oggetto di censura da parte del rimettente. Il Giudice delle leggi ha dunque ritenuto che, rispetto a fatti assunti come legittimamente punibili con la medesima pena dell’ergastolo, non possa essere produttiva di irragionevoli equiparazioni di trattamento una disciplina che precluda l’accesso al rito abbreviato a tutti gli imputati di tali delitti (v. sent. cost. n. 260 del 2020).
La Corte ha poi esaminato la specifica censura correlata alla più marcata irragionevolezza che assumerebbe la disposizione scrutinata a seguito della entrata in vigore dell’art. 442, co. 2-bis, c.p.p., introdotto con il d.lgs. n. 150 del 2022, secondo cui la pena inflitta in esito al giudizio abbreviato è ulteriormente ridotta di un sesto in caso di non impugnazione della sentenza di condanna. Ad avviso del rimettente, per effetto di tale novum legislativo, si verrebbe a determinare «un eccessivo allargamento della forbice del limite edittale» fra il trattamento sanzionatorio riservato a chi sia imputato del delitto di omicidio non aggravato e quello previsto per chi, imputato dello stesso delitto, si veda contestare anche una sola circostanza aggravante a effetto speciale, che conduca alla irrogazione della pena perpetua. Ma è proprio la necessità, costituzionalmente avvalorata, di tale graduazione quoad poenam che ha indotto la Corte a ritenere non fondata la censura sollevata dal rimettente, tenuto conto anche della specificità che assume il principio di proporzionalità della pena nel caso del delitto di omicidio (v., da ultimo, sent. cost. n. 197 del 2023).
Parimenti non fondata è stata dichiarata l’ultima questione prospettata dalla Corte di assise di Cassino, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., con particolare riguardo al mancato vaglio giurisdizionale che sarebbe derivato nel giudizio a quo, in violazione dei principi del giusto processo. La Corte costituzionale ha infatti ricordato che la preclusione del giudizio abbreviato dipende soltanto nella fase iniziale dalla valutazione del pubblico ministero sull’oggetto della contestazione, ma tale valutazione diviene poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, essendo comunque sempre possibile il “recupero” in sede dibattimentale della riduzione di pena connessa al rito abbreviato (v. sent. cost. n. 260 del 2020). Questa affermazione – ha concluso la Corte – vale anche per il giudizio immediato, rispetto al quale l’art. 458 c.p.p., peraltro non censurato dal rimettente, demanda al giudice per le indagini preliminari di decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato, pronunciandosi «in ogni caso» in camera di consiglio.