Con la sentenza n. 147 del 2021, depositata l’8 luglio 2021, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, D.L. 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, nella L. 5 giugno 2000, n. 144, sollevata dalla Corte di assise d’appello di Reggio Calabria, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui tale disposizione non prevede l’applicabilità dell’istituto nell’ipotesi di un soggetto che abbia tempestivamente avanzato richiesta di giudizio abbreviato in appello in un momento che non consentiva ancora l’accesso al rito, ma era comunque antecedente l’espletamento dell’istruttoria dibattimentale.
Il giudice a quo era stato chiamato a decidere sull’incidente di esecuzione promosso da un soggetto, il quale, riportate due distinte condanne all’ergastolo per delitti di omicidio unificati dal vincolo della continuazione, l’una già rideterminata alla pena di anni trenta di reclusione, ha chiesto rideterminarsi anche l’altra in pena temporanea, dopo aver egli richiesto, durante il relativo giudizio di appello, l’ammissione al rito abbreviato, con una istanza respinta ai sensi della sopravvenuta norma oggetto di censura. Ad avviso del rimettente, l’impossibilità di accedere al rito abbreviato, a motivo della casuale evenienza del rapido esaurimento dell’istruzione dibattimentale riaperta in appello, metterebbe in luce l’irragionevolezza della norma censurata, per la disparità di trattamento che essa può accidentalmente determinare tra un imputato e l’altro.
La Consulta ha rilevato che il giudice dell’esecuzione penale non ha alcun titolo per porre in discussione, in sede di incidente di esecuzione, la legittimità costituzionale di una norma che attiene al giudizio di cognizione, nell’ambito del quale soltanto la questione medesima sarebbe stata rilevante (v. sent. cost. n. 100 del 2015; ord. n. 235 del 2013).
La Corte ha ricordato l’eccezione di matrice convenzionale a questa regola di sistema: il giudice dell’esecuzione penale, infatti, può sollevare in riferimento al parametro convenzionale la questione di legittimità costituzionale di una norma interna già applicata dal giudice della cognizione – posto che questa si frapponga all’adempimento degli obblighi conformativi scaturiti dalla pronuncia Corte EDU, Gr. Cam., sent. 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia – quando «si debba applicare una decisione della Corte europea in materia sostanziale, relativa ad un caso che sia identico a quello deciso e che possa trovare un rimedio direttamente in sede esecutiva» (sent. cost. n. 210 del 2013). Con la medesima sentenza n. 210 del 2013, si è tuttavia escluso che il giudice dell’esecuzione sia legittimato a sollevare un’analoga questione sulla base del parametro interno di cui all’art. 3 Cost., perché tale parametro non è pertinente alla necessità di conformare l’ordinamento nazionale a una sentenza della Corte europea.
Il Giudice delle leggi ha concluso per la inammissibilità della questione, poiché il giudice dell’esecuzione non era legittimato a sollevarla in una fattispecie che egli stesso ha affermato essere diversa da quelle di cui alla richiamata decisione della Corte EDU Scoppola c. Italia e alla sentenza n. 210 del 2013, e rispetto alla quale neppure si sono verificate sopravvenienze costituzionalmente rilevanti idonee a incidere sulla legalità della pena in corso di esecuzione.