Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Giudizio direttissimo: termine a difesa e accesso ai riti alternativi – Corte cost., n. 243 del 2022

Anna Maria Capitta

Corte cost.


Con la sentenza n. 243 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 451, co. 5 e 6, e 558, co. 7 e 8, c.p.p., in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
Il giudice rimettente ha censurato la disciplina concernente il termine a difesa nel giudizio direttissimo – applicabile ai due riti che si svolgono, rispettivamente, di fronte al giudice collegiale e a quello monocratico – auspicando che tale termine debba essere concesso non soltanto per la prosecuzione della fase dibattimentale dello stesso giudizio direttissimo, ma anche in vista delle scelte che l’imputato ha la facoltà di compiere sull’accesso ai riti alternativi.
Sul punto, la prevalente giurisprudenza di legittimità, assurta al rango di diritto vivente, ritiene invece che l’avvenuta concessione del termine a difesa, presupponendo che abbia già avuto luogo l’apertura del dibattimento, precluda la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su richiesta (ex plurimis, Cass., Sez. V, 30 ottobre 2019, Toasa Chauca, n. 52042, in Mass. Uff., n. 278045; Id., Sez. VI, 19 febbraio 2019, Lori, n. 14129, ivi, n. 275430; Id., Sez. I, 5 giugno 2018, n. 25153; Id., Sez. V, 18 febbraio 2010, Glaudi, n. 12778, in Mass. Uff., n. 246899; Id., Sez. I, 22 aprile 2008, Salhi, n. 17796, ivi, n. 240022; Id., Sez. IV, 18 aprile 2001, Cornetta, n. 20189, ivi, n. 219846).
Muovendo dal progressivo consolidamento di questo indirizzo giurisprudenziale, contrastante con quanto espresso nell’ordinanza cost. n. 254 del 1993 (secondo cui l’informazione sul termine a difesa si colloca in una fase anteriore al dibattimento), e nel presupposto che tale diritto vivente impedisca un’interpretazione delle norme censurate in continuità con il precedente della Corte, il Tribunale di Firenze ha dunque sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale le disposizioni medesime, per come interpretate dalla giurisprudenza prevalente.
La Consulta ha ritenuto fondata la questione sollevata dal rimettente, per violazione dell’art. 24 Cost.
Nel caso del giudizio direttissimo – ha affermato la Corte – la scelta dell’imputato di accedere a un rito alternativo (giudizio abbreviato o applicazione della pena su richiesta) deve raccordarsi con la disciplina particolarmente serrata dei tempi di instaurazione del giudizio, senza che ciò possa comportare il sacrificio delle essenziali esigenze difensive dell’imputato sull’altare della speditezza dei tempi processuali.
Ciò premesso, i giudici costituzionali hanno escluso che la scelta del rito speciale debba avvenire seduta stante e incognita causa, senza cioè un’adeguata ponderazione delle implicazioni che derivano da tale strategia processuale. Di conseguenza, come precisa la sentenza, proprio al fine della salvaguardia di un imprescindibile spatium deliberandi, il giudice, ove l’imputato ne faccia richiesta, è tenuto a concedere il termine non solo in vista dell’approntamento della migliore difesa nella prosecuzione della fase dibattimentale, ma anche in funzione dell’esercizio consapevole della scelta sull’accesso a uno dei riti alternativi.
La necessità di una piena garanzia del diritto di difesa che si traduce nel carattere effettivo della scelta sui riti alternativi – ha ribadito la Corte – vale a maggior ragione in un rito, come quello direttissimo, segnato da un rapido avvicendamento delle fasi processuali.
La Consulta ha inoltre ricordato che parte integrante del diritto di difesa è pure l’assistenza tecnica di un difensore. Anche sotto questo profilo, la compressione del diritto di difesa dell’imputato è assai elevata nel giudizio direttissimo, tenuto conto che il veloce susseguirsi delle fasi processuali del giudizio di convalida dell’arresto e dell’instaurazione del rito può risolversi anche in uno spazio di poche ore: il che – osserva la Corte – rende non infrequente che l’imputato non sia assistito dal difensore di fiducia e che si trovi a dover compiere la scelta sul rito senza disporre di alcun apprezzabile lasso di tempo, se non in modo addirittura istantaneo.
Pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto di censura, riaffermando quanto contenuto nell’ordinanza n. 254 del 1993 e preso atto dell’incompatibilità con l’art. 24 Cost. dell’interpretazione delle norme censurate fatta propria dalla consolidata giurisprudenza di legittimità.
Il Giudice delle leggi ha infine ritenuto assorbite le questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione in riferimento agli artt. 3 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 3, lett. b), CEDU e all’art. 14, par. 3, lett. b), Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.