Con la ordinanza n. 71 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 456 c.p.p., sollevata, in riferimento all’art. 24 Cost., dal Tribunale ordinario di Bergamo, nella parte in cui non prevede che il decreto di giudizio immediato debba contenere l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, con la forma e i termini di cui all’art. 458 c.p.p.; ha dichiarato altresì la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 552, co. 1, lett. f, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, co. 2, e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Bari, nella parte in cui non prevede l’avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l’imputato, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi degli artt. 168-bis e ss. c.p. e 464-bis e ss. c.p.p.
La Consulta ha rilevato come entrambe le ordinanze di rimessione non contenessero alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo, limitandosi a indicare le disposizioni che prevedono i reati contestati agli imputati, senza neppure riportare i relativi capi di imputazione.
Con particolare riguardo alla questione sollevata dal Tribunale di Bergamo, il Giudice delle leggi ha osservato che al reato previsto dall’art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto) e punito con la reclusione fino a sei anni, presente tra i reati contestati, la sospensione con messa alla prova non poteva ritenersi applicabile, poiché essa può essere richiesta nei procedimenti per i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni. Inoltre – come già ricordato nella ordinanza cost. n. 85 del 2018 – la Corte di cassazione ha escluso che la sospensione con messa alla prova possa essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l’accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle tendenze antisociali del reo e sarebbe incompatibile con le finalità dell’istituto una rieducazione parziale (Cass., Sez. II, 12 marzo 2015, Allotta, n. 14112, in Mass. Uff., n. 263125).
Quanto alle questioni sollevate dal Tribunale di Bari, la Consulta ha evidenziato come l’insufficiente descrizione della fattispecie processuale, e in particolare dello stato in cui si trovava il giudizio, abbia impedito il necessario controllo in punto di rilevanza e abbia reso le questioni manifestamente inammissibili.
Pertanto, la Corte costituzionale, riuniti i giudizi, ha ritenuto le questioni manifestamente inammissibili per difetto di motivazione sulla loro rilevanza nel giudizio a quo (ex multis, ord. cost. n. 85 e n. 7 del 2018, n. 210 e n. 46 del 2017).