Con la sentenza n. 73 depositata il 24 aprile 2020, la Consulta, in accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata promosso dal Tribunale ordinario di Reggio Calabria, in riferimento agli articoli 3, 27, terzo comma, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui, a seguito delle modifiche apportate con L. 251/2005 (cd. “ex Cirielli”), prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del vizio parziale di mente di cui all’art. 89 c.p. sulla circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99, comma 4, c.p. (ritenendo infine assorbita ogni questione relativa alla violazione dell’ulteriore parametro invocato dell’art. 32 Cost.).
In continuità con le diverse pronunce di parziale illegittimità costituzionale tramite le quali, già in passato, si era riconsegnato al giudice il potere di bilanciare la recidiva con specifiche circostanze attenuanti (sent. nn. 105/2014, 106/2014, 74/2016, 205/2017) confermandosi il limite della “manifesta irragionevolezza” delle deroghe all’ordinario giudizio di bilanciamento discrezionalmente introdotte dal legislatore (sent. 68/2012 e 88/2019), la sentenza - ricostruita, preliminarmente, la ratio dell’art. 89 c.p. nella ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore (così come delineata già nella sent. 364/1988) connessa al minore grado di discernimento circa il disvalore della propria condotta e alla minore capacità di controllo dei propri impulsi, in ragione delle patologie o disturbi che lo affliggono – nel merito ribadisce, ancora una volta, che il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato, da tempo affermato sulla base di una lettura congiunta degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (sent. nn. 343/1993, 236/2016, 223/2018, 233/2018, 40/2019), esige in via generale che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo che dipende in maniera determinante sia dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, sia, per l’appunto, dalla eventuale presenza di fattori che pur abbiano influito sul processo motivazionale dell’autore tra cui rientrano, evidentemente, patologie o disturbi significativi della personalità idonei a diminuire, pur senza escluderla totalmente, la capacità di intendere e di volere dell’autore del reato (nei termini già stabiliti in Cass., Sez. Un., 9163/2005).
Ne deriva, nel caso di specie, che, nonostante il carattere facoltativo dell’aggravante della recidiva, l’inderogabile divieto di prevalenza su di essa dell’attenuante, sia pur a effetto comune, del vizio parziale di mente – sebbene trovi fondamento sull’assunto secondo cui normalmente merita un maggiore rimprovero chi non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato destinatario di un ammonimento individualizzato sul proprio dovere di rispettare la legge penale, indirizzatogli con le precedenti condanne - non può essere comunque ritenuto compatibile con quella particolare esigenza di determinazione di una pena proporzionata e calibrata sull’effettiva personalità del reo che, come già affermato (sent. 251/2012), costituisce espressione di precisi “equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale”.
Ciò in quanto tale divieto non consente al giudice di stabilire, nei confronti del semi-infermo di mente, una pena inferiore a quella che dovrebbe essere inflitta per un reato di pari gravità oggettiva, ma commesso da una persona che abbia agito in condizioni di normalità psichica, e dunque pienamente capace al momento del fatto di rispondere all’ammonimento lanciato dall’ordinamento, rinunciando alla sua commissione: con l’effetto di un’indebita parificazione sotto il profilo sanzionatorio di fatti di disvalore essenzialmente diverso, da tempi ormai risalenti considerato di per sé contrario all’art. 3 Cost. (sent. n. 26/1979).
Né - aggiunge, infine, la Corte - tale conclusione comporta alcun sacrificio delle esigenze di tutela della collettività contro l’accentuata pericolosità sociale espressa dal recidivo reiterato in quanto nei confronti di chi sia stato condannato a una pena diminuita in ragione della sua infermità psichica, resta ferma, previa valutazione del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 679 c.p.p., l’applicazione di una misura di sicurezza, da individuarsi secondo i criteri oggi indicati dall’art. 3-ter, comma 4, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri), convertito con modificazioni nella legge 17 febbraio 2012, n. 9.