Con la sentenza n. 97 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., dell’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. f), L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».
La Consulta ha ritenuto che il divieto di scambiare oggetti, nella parte in cui si applica anche ai detenuti in regime di “41-bis” inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del detenuto al regime differenziato, che è quella di impedire le sue comunicazioni con l’esterno. È dunque ingiustificata, in lesione dell’art. 3 Cost., la deroga alla regola generale che consente la cessione o lo scambio di beni di modico valore. Il divieto in questione finisce per assumere un significato meramente afflittivo, in violazione anche dell’art. 27, co. 3, Cost.
Dai parametri costituzionali sopra menzionati discendono pure dei limiti al regime speciale di detenzione, delineati dalla costante giurisprudenza della Corte (sent. cost. n. 149 del 2018, n. 351 del 1996 e n. 349 del 1993) e il cui rispetto viene verificato anche con l’odierna sentenza: l’art. 3 Cost. si ricollega al limite che attiene alla congruità della misura rispetto agli obiettivi da essa perseguiti; l’art. 27, co. 3, Cost. impone, d’altro canto, che la disciplina restrittiva di cui all’art. 41-bis, co. 2, ord. penit. non possa mai essere tale da vanificare completamente la necessaria finalità rieducativa della pena e da violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità.
La Corte sviluppa il proprio ragionamento sulla base di tre argomenti, da ognuno dei quali emerge il contrasto della norma censurata con entrambi i parametri di cui agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost.
In primo luogo, la Consulta ha ricordato che i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità hanno varie occasioni di comunicare tra loro, in forma orale o gestuale, senza poter essere ascoltati, per cui non hanno la necessità di ricorrere a forme criptiche di comunicazione, come lo scambio di oggetti cui sia attribuito un significato simbolico o convenzionale, da trasmettere poi all’esterno, per esempio, mediante un colloquio con i familiari. Pertanto, il divieto legislativo, comprensibile se riferito a detenuti assegnati a gruppi di socialità diversi, risulta irragionevole se esteso in modo indiscriminato anche ai componenti del medesimo gruppo. La Corte ha così espresso un giudizio di incongruità della misura rispetto allo scopo, sottolineando che alla compressione di una forma minima di socialità indotta dalla disposizione censurata non corrisponde un incremento delle garanzie di difesa sociale e di sicurezza pubblica (v., per un’analoga valutazione, sent. cost. n. 143 del 2013, in tema di colloqui dei detenuti in regime speciale con i propri difensori). Di conseguenza, la decisione in esame rimarca il carattere inutilmente e meramente afflittivo della misura.
Inoltre, come osserva il Giudice delle leggi, tale valutazione di incongruità non muta nemmeno ove si ritenga che la proibizione in esame possa essere giustificata dal fine di impedire forme unidirezionali di scambio di oggetti in favore di determinati detenuti, idonee a segnalare una loro posizione di supremazia nel contesto penitenziario. Piuttosto, il manifestarsi di atteggiamenti di prevaricazione da parte di alcuni detenuti può e deve essere frenato attraverso l’applicazione delle regole carcerarie specificamente dettate per i gruppi di socialità.
Infine, la Consulta ha precisato che a risultare sproporzionata e quindi costituzionalmente illegittima è la previsione ex lege del divieto assoluto di scambiare oggetti. Tanto il cuocere cibi (sent. cost. n. 186 del 2018), quanto lo scambio di oggetti sono facoltà dell’individuo, anche se posto in detenzione, che fanno parte di quei piccoli gesti di normalità quotidiana, tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui può espandersi la libertà del detenuto (v., in senso conforme, sent. cost. n. 349 del 1993, n. 20 e n. 122 del 2017 e n. 186 del 2018). Per questo, secondo la Corte, la compressione della possibilità di scambiare oggetti con gli altri detenuti del medesimo gruppo potrebbe giustificarsi non in via generale e astratta, ma solo se esista in concreto la necessità di garantire la sicurezza dei cittadini. Invero, anche dopo la presente sentenza, l’amministrazione penitenziaria potrà sempre disciplinare le modalità degli scambi tra soggetti dello stesso gruppo, nonché stabilire, in presenza di specifiche esigenze espressamente motivate, eventuali limitazioni che potranno essere vagliate, di volta in volta, dal magistrato di sorveglianza.
Pertanto – per ricondurre l’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. f), ord. penit. entro i limiti del rispetto dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 27, co. 3, Cost. – la Corte ha pronunciato una sentenza c.d. “sostitutiva” di accoglimento, eliminando la necessaria applicazione della disposizione censurata ai detenuti assegnati al medesimo gruppo di socialità e circoscrivendone l’applicazione ai detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità.