Con la sentenza n. 8 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, co. 5-bis, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, aggiunto dall’art. 6, co. 1, lett. c-bis, D.L. 15 settembre 2023, n. 123 (c.d. decreto Caivano), convertito, con modificazioni, nella L. 13 novembre 2023, n. 159, sollevate, in riferimento all’art. 31, co. 2, Cost., dal G.u.p. del Tribunale per i minorenni di Bari, nella parte in cui tale disposizione prevede che il co. 1 dello stesso art. 28, in tema di sospensione del processo e messa alla prova del minore, non si applica al delitto previsto dall’art. 609-octies c.p. (violenza sessuale di gruppo), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter c.p., ovvero al delitto di cui all’art. 609-bis c.p. (violenza sessuale), limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art. 609-ter c.p.
Secondo il rimettente, la scelta del legislatore del 2023 di impedire l’accesso alla messa alla prova minorile per gli imputati di determinati reati, tra i quali la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo aggravate, contrasterebbe con l’art. 31, co. 2, Cost. La preclusione prevista dalla disposizione censurata, infatti, non consentirebbe al giudice di individuare, nel caso concreto, la risposta più aderente alla personalità del minore, ponendosi con ciò in contrasto con l’intero impianto del processo minorile, che ha come precipua finalità, in ossequio al citato precetto costituzionale, il recupero del minore deviante, con rapida fuoriuscita del medesimo dal circuito penale. Il giudice a quo, al quale era stata indirizzata richiesta di ammissione alla prova avanzata da due imputati minorenni, chiamati a rispondere di reati sessuali commessi prima della data di entrata in vigore della legge n. 159 del 2023 (15 novembre 2023), ha reputato che l’art. 28, co. 5-bis, d.P.R. n. 448 del 1988 dovesse trovare immediata applicazione nei giudizi a quibus, secondo il principio tempus regit actum, posto che l’istituto della messa alla prova sarebbe intrinsecamente caratterizzato da una dimensione processuale.
La Consulta ha dichiarato le questioni inammissibili per difetto di rilevanza, con assorbimento di ogni altro profilo.
Contrariamente all’assunto da cui ha mosso il rimettente, la Corte ha ritenuto che alla messa alla prova minorile debba essere riconosciuta una dimensione sostanziale e che ciò comporta la sua inerenza all’alveo del principio di legalità penale sostanziale di cui all’art. 25, co. 2, Cost., con la conseguente necessaria applicabilità ad essa del regime temporale di irretroattività della legge penale sfavorevole.
La disposizione censurata preclude, per taluni gravi reati ivi menzionati, la possibilità di un esito processuale alternativo all’eventuale riconoscimento di responsabilità e alla successiva irrogazione della pena detentiva: dunque, essa configura una presunzione iuris et de iure di gravità delle condotte associate a detti reati, tale da impedire all’imputato minorenne qualsiasi possibilità di essere sottratto al circuito penale. In particolare, la norma oggetto di censura comporta, per quei delitti, l’esclusione della possibile estinzione del reato, quale effetto sostanziale della messa alla prova minorile.
Ad avviso della Corte, pertanto, la previsione di cui all’art. 28, co. 5-bis, d.P.R. n. 448 del 1988 «incide direttamente sulla disciplina sostanziale di quelle fattispecie di reato» ivi contemplate e, di conseguenza, non può essere assoggettata alla regola tempus regit actum, dovendo invece essere ricondotta nell’ambito di operatività dell’art. 25, co. 2, Cost. e dell’art. 7 C.E.D.U. E poiché introduce un contenuto deteriore rispetto alla disciplina previgente, la disposizione censurata non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente al 15 novembre 2023 – data di entrata in vigore della legge n. 159 del 2023 – in forza del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole.
Nei giudizi a quibus non è, dunque, applicabile l’art. 28, co. 5-bis, d.P.R. n. 448 del 1988, quale regime legislativo sopravvenuto e – come ha precisato la Corte – indubitabilmente più gravoso di quello vigente al tempus commissi delicti.