Con la sentenza n. 225 del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato:
1) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33-quinquies c.p.p., sollevata, in riferimento all’art. 101, co. 2, Cost., dal Tribunale ordinario di Nocera Inferiore, nella parte in cui tale disposizione prevede che l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare, consentendo solo in tal caso la riproposizione della questione entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p.
2) non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 33-quinquies c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, co. 2, e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, § 3, CEDU, dal medesimo Tribunale di Nocera Inferiore, nella parte in cui tale disposizione prevede che l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare, consentendo solo in tal caso la riproposizione della questione entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p.
La Consulta ha anzitutto dichiarato inammissibile la questione formulata in riferimento all’art. 101, co. 2, Cost., sottolineando che il principio della c.d. indipendenza “interna” del giudice, desumibile dalla suddetta previsione costituzionale, non osta affatto a che la sua potestas iudicandi sia delimitata, in conformità alla legge processuale vigente, da provvedimenti di altri giudici (v. ord. cost. n. 28 del 2023; sent. cost. n. 116 del 2023). Pertanto, una disposizione che, come quella censurata, vincoli il giudice del dibattimento alle determinazioni, in ipotesi erronee, di un altro giudice – nel caso in esame, il GUP – relative all’attribuzione della causa alla cognizione del tribunale in composizione collegiale o monocratica non produce alcun vulnus all’art. 101, co. 2, Cost.
In linea generale, la Corte ha rilevato che, nel corso dell’udienza preliminare, l’imputato è già in grado di rilevare eventuali violazioni delle disposizioni che regolano l’attribuzione della cognizione della causa al tribunale in formazione collegiale o monocratica. La futura assegnazione della causa all’una o all’altra formazione dipende, infatti, dalla tipologia dei reati a lui contestati nella richiesta di rinvio a giudizio, ovvero dalla tipologia dei reati che il pubblico ministero contesta agli altri imputati nella medesima richiesta di rinvio a giudizio, sul presupposto della loro reciproca connessione.
In particolare, secondo la Corte, non può ritenersi violato l’art. 3 Cost. sotto alcuno dei tre profili enucleati dal giudice rimettente. In primo luogo, non sussiste alcuna irragionevole disparità di trattamento tra le ipotesi in cui il procedimento passi, o meno, attraverso l’udienza preliminare. Né sussiste alcuna indebita parificazione tra la disciplina in esame e quella relativa al rilievo dell’incompetenza per territorio o derivante dalla connessione di cui all’art. 21, co. 2 e 3, c.p.p., poiché, anzi, le due discipline sono in grado di operare in perfetta simmetria. Né, infine, può ritenersi che la disciplina in questione ponga irragionevolmente a carico delle parti l’onere di eccepire, in via preventiva, una violazione soltanto futura delle regole sul riparto di attribuzione, violazione che si renderebbe attuale soltanto nel momento del decreto che dispone il giudizio.
Al riguardo, la Consulta ha precisato che le regole in materia di competenza o di attribuzione operano già nel momento della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero, non potendosi affermare, in via generale, che tali regole siano applicate per la prima volta con la vocatio in ius contenuta nel decreto di rinvio a giudizio. Dunque, non può ritenersi irragionevole la scelta legislativa di porre a carico dell’imputato l’onere di eccepire immediatamente l’erroneità delle scelte compiute dal pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio, da cui deriverebbero le conseguenze previste dalla legge in relazione alla competenza o all’attribuzione della cognizione della causa.
Il Giudice delle leggi ha inoltre affermato che, per le medesime ragioni già esposte, non sussiste alcuna lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. Infatti, l’imputato ha l’onere di formulare, in udienza preliminare, soltanto le eccezioni relative a profili che siano già desumibili dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero e non già quelle che concernano profili desumibili per la prima volta dal decreto di rinvio a giudizio, rispetto ai quali l’onere di eccezione non potrà che essere posposto all’inizio del dibattimento (cfr., Cass., Sez. un., 18 aprile-29 novembre 2019, Sacco, n. 48590, Rv. 277304-01).
Infine, questa interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 33-quinquies c.p.p. esclude – ad avviso della Corte – ogni profilo di contrarietà della disposizione censurata con il principio del contraddittorio, fondato sugli artt. 111, co. 2, e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, § 3, CEDU, consentendo all’imputato di interloquire, a seguito della proposizione tempestiva dell’eccezione, su tutti i profili dai quali dipende l’attribuzione della causa alla cognizione del tribunale in formazione collegiale o monocratica.