Con la sentenza n. 219 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, co. 2, e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Lecce, nella parte in cui tale disposizione – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità ai fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati dall’autorità giudiziaria con provvedimento motivato, nonché la deposizione testimoniale in ordine a tali attività.
Ricostruite l’evoluzione e la ratio dell’istituto della inutilizzabilità, la Consulta ha ritenuto che in materia non possa trovare applicazione un principio di “inutilizzabilità derivata”, sulla falsariga di quanto è previsto invece, nel campo delle nullità, dall’art. 185, co. 1, c.p.p. Sulla scorta della ordinanza n. 332 del 2001, la Corte ha infatti ribadito che non si possono confondere fra loro fenomeni – quali quelli della nullità e della inutilizzabilità – del tutto autonomi e tutt’altro che sovrapponibili e, dunque, ha escluso la possibilità di trasferire nella disciplina della inutilizzabilità un concetto di vizio derivato che il sistema regola esclusivamente in relazione al tema delle nullità. Con ciò, tra l’altro, il rimettente avrebbe richiesto al Giudice delle leggi l’esercizio di opzioni di politica processuale che l’ordinamento riserva esclusivamente alla discrezionalità del legislatore. Il petitum formulato dal giudice a quo, infatti, sarebbe fondato su una richiesta fortemente “manipolativa”, in una materia in cui vige un rigoroso regime di tipicità e tassatività.
La richiesta di una pronuncia additiva – ha sottolineato la Corte – non soltanto mira a introdurre un nuovo caso di inutilizzabilità di ciò che l’ordinamento prescrive come attività obbligatoria (il sequestro del corpo del reato), ma si propone altresì di introdurre, ex novo, uno specifico divieto probatorio, sancendo la inutilizzabilità delle dichiarazioni a tal proposito rese dalla polizia giudiziaria: preclusione, quest’ultima, che si colloca in posizione del tutto eccentrica rispetto al tema costituzionale coinvolto dagli artt. 13 e 14 Cost.
La Consulta ha dichiarato, pertanto, la inammissibilità delle questioni proposte.