Pubblicato in: Giurisprudenza Costituzionale

Iura novit curia e messa alla prova – Corte cost., n. 131 del 2019

A. M. Capitta

Corte cost

Con la sentenza n. 131 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-bis, co. 2, e 521, co. 1, c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24, co. 2, Cost., dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Catania, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono la possibilità di disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova ove, in esito al giudizio, il fatto di reato venga, su sollecitazione del medesimo imputato, diversamente qualificato dal giudice così da rientrare in uno di quelli contemplati dal co. 1 dell’art. 168-bis c.p.
Secondo il rimettente, le disposizioni censurate precluderebbero al giudice di ammettere l’imputato alla sospensione del processo con messa alla prova nell’ipotesi in cui sia stata respinta la relativa richiesta del medesimo imputato, in ragione dell’incompatibilità del beneficio con i limiti di pena previsti dalla norma incriminatrice, incompatibilità poi venuta meno in seguito alla diversa qualificazione del fatto compiuta dal giudice ai sensi dell’art. 521, co. 1, c.p.p., in esito al giudizio abbreviato.
La Corte costituzionale ha ritenuto, tuttavia, che tale interpretazione non sia l’unica possibile.
Sulla scorta di un recente orientamento della Corte di cassazione (Cass., Sez. IV, 18 settembre 2018, n. 44888, Rrahmani Amarildo; Id., Sez. III, 15 febbraio 2018, n. 29622, Capogrossi), la Consulta ha infatti rilevato che, se il giudice di appello, investito dell’impugnazione contro una sentenza di condanna resa in sede di giudizio abbreviato, può ammettere l’imputato alla sospensione del processo con messa alla prova, allorché ritenga ingiustificato il diniego opposto dal giudice di primo grado a tale richiesta, a fortiori una tale possibilità dovrà essere riconosciuta allo stesso giudice di primo grado, allorché, in esito al giudizio, riscontri che il proprio precedente diniego era ingiustificato, sulla base della riqualificazione giuridica del fatto contestato cui lo abilita l’art. 521, co. 1, c.p.p. e sempre che l’imputato abbia richiesto il beneficio entro i termini indicati dall’art. 464-bis, co. 2, c.p.p.
La soluzione prospettata – come ribadisce la stessa Corte – oltre a rispondere a ovvie ragioni di economia processuale non trova alcun ostacolo nel tenore letterale delle disposizioni censurate ed appare, altresì, l’unica in grado di assicurare un risultato ermeneutico compatibile con i parametri costituzionali invocati dal giudice a quo.
Sotto il profilo del diritto di difesa, infatti, partendo dall’assunto secondo cui la sospensione del processo con messa alla prova costituisce un vero e proprio rito alternativo (sent. cost. n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015), il Giudice delle leggi ha ribadito che la richiesta di riti alternativi rappresenta una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sent. cost. n. 141 del 2018, n. 237 del 2012, n. 148 del 2004) e ha rammentato come sia stata più volte dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni del codice di rito che non consentono la richiesta di un rito alternativo a seguito di una nuova contestazione.
La decisione qui segnalata si pone decisamente in linea con una recente pronuncia, nella quale Corte costituzionale ha sottolineato la incoerenza con il diritto di difesa di qualsiasi preclusione che ne limiti l’esercizio concreto, tutte le volte in cui il sistema ammetta una mutatio libelli in sede dibattimentale (sent. cost. n. 82 del 2019).