Con la sentenza n. 91 del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, co. 1, e 623, co. 1, lett. a), c.p.p., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111, co. 2, Cost., dal Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del riesame, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice, il quale abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento, ovvero di rigetto, della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 324 c.p.p., annullata dalla Corte di cassazione.
Nel caso di specie, il Tribunale di Ravenna era stato investito del giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento per difetto di motivazione, pronunciato dalla Corte di cassazione, rispettivamente, di una ordinanza confermativa del sequestro conservativo e di una ordinanza parzialmente riduttiva del decreto di sequestro preventivo, ma due dei tre giudici del Collegio rimettente, quale giudice del rinvio, erano stati componenti del Tribunale del riesame che aveva adottato le ordinanze poi annullate dalla Cassazione. Pertanto, il rimettente ha osservato che le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 111, co. 2, Cost., per violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice, e, altresì, con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza.
La Consulta, anzitutto, ha ritenuto le questioni non fondate con riferimento all’art. 111, co. 2, Cost.
Muovendo dal rilievo secondo cui una situazione di incompatibilità del giudice può insorgere solo quando questi è chiamato a pronunciarsi sul merito dell’accusa penale (v., ex plurimis, sent. cost. n. n. 64 del 2022; n. 7 del 2022; n. 224 del 2001 e 124 del 1992), la Corte ha precisato che, nelle fattispecie delle misure cautelari reali, il giudice è chiamato a pronunciarsi non già sul merito dell’accusa, bensì sulla richiesta di tutela cautelare, conservativa o preventiva. Sul punto, il Giudice delle leggi ha chiarito che il procedimento del riesame in generale, e più specificamente quello concernente le misure cautelari reali, si pone quale fase incidentale eventuale, all’interno della quale il collegio giudicante adotta, attraverso il provvedimento tipico dell’ordinanza, decisioni rebus sic stantibus, in quanto fondate su valutazioni circoscritte alla situazione di fatto e di diritto prospettata attraverso il mezzo di gravame. In particolare, la valutazione che il giudice deve effettuare in relazione ai presupposti applicativi delle misure cautelari del sequestro preventivo e del sequestro conservativo ha ad oggetto la verifica della sussistenza del fumus criminis e del periculum in mora: tale accertamento – ha ribadito la Corte – non attiene al merito dell’ipotesi accusatoria. A sua volta, la valutazione demandata al giudice del riesame reale a seguito dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione, per le peculiarità del giudizio cautelare reale, non riveste, secondo la Consulta, le caratteristiche del «giudizio» contenutisticamente inteso, venendo piuttosto in rilievo una vicenda che si sviluppa unicamente nella medesima fase cautelare, in senso verticale. Sta proprio nell’assenza di valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa la determinante differenza tra la fattispecie in esame e le fattispecie prese in considerazione dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 183 del 2013 e n. 7 del 2022 (cfr., volendo, CAPITTA, Incompatibilità del giudice dell’esecuzione che si è già pronunciato sulla richiesta di rideterminazione della pena – Corte cost., n. 7 del 2022, in questa Rivista online, 2022, Contenuti).
Pertanto – ha concluso la Corte – la decisione adottata dai giudici del riesame in materia cautelare reale non riveste capacità pregiudicante della successiva decisione cautelare in sede di rinvio, con la conseguenza che deve escludersi il denunciato contrasto delle norme censurate con l’art. 111, co. 2, Cost.
Il Giudice delle leggi ha, inoltre, reputato non fondate le censure prospettate in riferimento all’art. 3 Cost., quanto alla denunciata disparità di trattamento tra la fase di cognizione e quella cautelare.
Invero, come ha specificato la Consulta, il giudizio cautelare reale, definito con «ordinanza», ha caratteristiche significativamente diverse rispetto al giudizio di cognizione, definito con «sentenza». Soltanto nel secondo caso viene in rilievo l’adozione di una decisione circa la colpevolezza dell’imputato, destinata a confluire nella pronuncia di condanna o di assoluzione. Invece, il giudice della cautela reale non compie alcuna valutazione sul merito dell’accusa, non definisce il «giudizio» e può essere chiamato a pronunciarsi più volte in riferimento a mutevoli circostanze di fatto acquisite al processo.
Risultano pertanto coerenti, secondo la Corte, le regole dettate dall’art. 623, co. 1, c.p.p. con riguardo, rispettivamente, ai casi di annullamento con rinvio della «sentenza» impugnata (lett. b, c, d) e all’ipotesi di annullamento, sempre con rinvio, di una «ordinanza» (lett. a, ove non è prescritto che il giudice del rinvio debba essere persona fisica diversa da quella che ha pronunciato l’ordinanza annullata). La mancata previsione, negli artt. 623, co. 1, lett. a), e 34, co. 1, c.p.p., della fattispecie di incompatibilità auspicata dal rimettente non determina, perciò, la denunciata disparità di trattamento tra la fase di cognizione e la fase cautelare.
In conclusione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Ravenna, in funzione del giudice del riesame, sono state dichiarate dalla Corte costituzionale non fondate con riferimento sia al parametro di cui all’art. 111, co. 2, Cost., sia a quello di cui all’art. 3 Cost.