Con la sentenza n. 68 emessa all’esito dell’udienza del 28 gennaio 2021 e depositata il 16 aprile 2021 - in accoglimento della questione sollevata dal Giudice per le Indagini Preliminari di Milano con ordinanza del 4 febbraio 2020 in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 35, 41, 117, primo comma con riguardo agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) nonché 136 Cost. - ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 3 Cost., dell’art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in quanto interpretato nel senso che la disposizione non si applica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell’art. 222, comma 2, d.lgs. 285/1992 (Nuovo codice della strada).
Premessa una ricognizione del panorama normativo e giurisprudenziale di riferimento, la Corte si sofferma, anzitutto, sulla portata della disposizione impugnata, evidenziandone l’espressione del favor libertatis e del favor rei in considerazione delle peculiarità della materia penale e della gravità con cui le sanzioni penali incidono su interessi fondamentali dell’individuo, anche in considerazione della sua interpretazione ampia adottata dalla giurisprudenza di Cassazione (SS.UU., 24 ottobre 2013, n. 18821; 29 maggio-14 ottobre 2014, n. 42858; 26 febbraio 2015, n. 37107) secondo cui ad infrangere il giudicato di condanna può essere non solo la pronuncia che rimuova, in tutto o in parte, la norma incriminatrice producendo un’abolitio criminis, come avviene sul versante processuale nell’art. 673 c.p.p., ma anche quella che si limiti ad incidere (sul trattamento sanzionatorio (ad esempio, eliminando una circostanza aggravante o rimodulando la cornice edittale). Ciò posto, si passa ad analizzare la specifica questione – in passato già dichiarata non fondata (sent. 43/2017) - riguardante l’estensione del campo applicativo della norma censurata con riguardo al tipo di sanzione attinta dalla declaratoria di illegittimità costituzionale (non solo la sanzione penale, ma anche la sanzione amministrativa qualificabile come penale ai sensi della CEDU), muovendo dalla precedente dichiarazione di illegittimità (sent. 88/2019) dell’automatismo sanzionatorio previsto dall’art. 222, comma 2, quarto periodo, d.lgs. 285/1992 in base al quale la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida si applica in modo indiscriminato per tutte le fattispecie di omicidio e lesioni personali stradali (gravi o gravissime) anziché lasciare al giudice, in mancanza della ricorrenza delle circostanze aggravanti pur previste dagli artt. 589-bis e 590-bis c.p., la possibilità, in ragione del livello di gravità della condotta del condannato, di disporre quella meno afflittiva della sospensione: di qui la rilevanza della questione in oggetto nei confronti di chi, come il ricorrente, risulti già destinatario della revoca della patente di guida per effetto di un giudicato per un fatto di omicidio stradale semplice con addebiti di colpa di lieve entità, stante la riferibilità espressa dell’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953 alle sole sanzioni penali che neppure ne consente un’interpretazione adeguatrice. Così delimitato il thema decidendum, la Corte – discostandosi da quanto affermato dalla Cassazione (Cass., Sez. I, sentenza n. 1804 del 2020) ritiene che, sulla base della giurisprudenza EDU (sentenza 4 gennaio 2017, Rivard contro Svizzera; sentenza 17 febbraio 2015, Boman contro Finlandia; decisione 13 dicembre 2005, Nilsson contro Svezia; sentenza 21 settembre 2006, Maszni contro Romania), non sia più possibile negare alla misura de qua connotazioni sostanzialmente punitive sia pur non disgiunte da finalità di tutela degli interessi coinvolti dalla circolazione dei veicoli a motore, desumendone che l’art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, in quanto interpretato nel senso di escluderne l’applicabilità in relazione alla sanzione amministrativa considerata, venga a porsi in contrasto con l’art. 3 Cost. Si richiamano, a tal fine, diversi precedenti decisioni con cui la Corte ha ormai esteso alle sanzioni amministrative a carattere punitivo larga parte dello “statuto costituzionale” sostanziale delle sanzioni penali con particolare riguardo, per il caso di specie, al principio di retroattività della lex mitior (sentenza n. 63/2019). In altri termini, non è “costituzionalmente tollerabile” - ad avviso della Corte - che taluno debba rimanere soggetto per cinque anni, anziché per un periodo di tempo nettamente minore, ad una sanzione inibitoria della guida di veicoli a motore inflittagli sulla base di una norma che, all’indomani del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è stata riconosciuta contrastante con la Costituzione laddove il condannato a una, anche modesta, pena pecuniaria potrebbe giovarsi, finché non è eseguita, della sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale che ne mitighi l’importo. In conclusione, a fondamento della fondatezza della questione sta “il principio di legalità costituzionale della pena” che si declina nella “esigenza che la pena risulti conforme a Costituzione lungo tutto il corso della sua esecuzione prevale sulle esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, a cui presidio è posto l’istituto del giudicato”: un giudizio di bilanciamento tra contrapposti interessi che, sebbene storicamente e formalmente riconosciuto per le sanzioni penali, “non può, peraltro, ribaltarsi per le sanzioni amministrative a connotazione punitiva, particolarmente quando si tratti di sanzione quale la revoca della patente di guida”, a pena di un’intollerabile violazione dei parametri di uguaglianza e ragionevolezza. L’unico limite delle pronunce di incostituzionalità continuerà a consistere nei rapporti giuridici esauriti ovvero nei casi in cui la sanzione amministrativa della revoca della patente sia stata già integralmente eseguita.