Con la sentenza n. 218 del 2020, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 512, co. 1, c.p.p., per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, co. 2, lett. b), c.p.p., che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, co. 3, lett. c), c.p.p., sia stato citato per essere sentito come testimone.
Ricostruito il quadro normativo in materia, la Consulta ha ritenuto corretta la premessa dalla quale ha mosso il Tribunale di Roma, secondo cui il censurato art. 512 c.p.p. non consente la lettura delle dichiarazioni rese al giudice delle indagini preliminari dall’imputato di reato collegato ai sensi dell’art. 371, co. 2, lett. b), c.p.p. in sede di interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p., nel caso in cui le stesse divengano irripetibili per impossibilità dell’esame dello stesso imputato. Né, d’altra parte, come pure ha osservato il rimettente, la condizione soggettiva del dichiarante – “testimone assistito” ex art. 197-bis c.p.p. – rende applicabile la distinta ipotesi di lettura dibattimentale contemplata dall’art. 513 c.p.p., essendo questa riferibile all’imputato e alle persone indicate nell’art. 210, co. 1, c.p.p.
La Corte, rivisitando il proprio precedente orientamento (ord. cost. n. 112 del 2006), avverte anzitutto la necessità di configurare la qualificazione del dichiarante in termini temporalmente e funzionalmente meno rigidi, non soltanto, cioè, con riguardo all’atto della deposizione dibattimentale. Da qui, pone in evidenza come l’introduzione, con la legge 1° marzo 2001, n. 63, della figura del “testimone assistito” abbia sicuramente ampliato le lacune e le incongruenze della disciplina relativa alla lettura delle dichiarazioni predibattimentali risultante dal rapporto tra gli artt. 512 e 513 c.p.p. Queste norme – ha osservato la Consulta – lasciano infatti senza soluzione il problema della lettura degli atti qualora l’esame della persona da escutere ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p. sia divenuto impossibile per circostanze sopravvenute e imprevedibili.
Del resto, una volta ritenuta assimilabile la posizione del teste assistito a quella del testimone, la Corte non può far a meno di ritenere doveroso ricondurre anche a tale soggetto il regime di acquisizione delle pregresse dichiarazioni dettato dall’art. 512 c.p.p., ove ne ricorrano le condizioni. Ma, come ricorda il Giudice delle leggi, l’art. 512 c.p.p. è norma caratterizzata da una elencazione tassativa e non è suscettibile di interpretazione estensiva, in quanto configura una specifica ipotesi di deroga del principio del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale (cfr. sent. cost. n. 440 del 2000; ord. cost. n. 355 del 2003). Pertanto – ha concluso la Corte – dovendosi guardare all’art. 512 c.p.p. come norma di riferimento e residuale, risulta irragionevole, alla luce dell’art. 3 Cost., che tale disposizione non contempli le dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità dell’imputato, rese al giudice nel corso delle indagini preliminari da un soggetto giudicato per reato collegato, a norma dell’art. 371, co. 2, lett. b), c.p.p., il quale abbia poi assunto l’ufficio di testimone ai sensi dell’art. 197-bis c.p.p.
Sotto un ulteriore profilo, nella sentenza additiva qui segnalata, la Consulta ha ritenuto altresì del tutto irragionevole che tra gli atti passibili di lettura siano compresi quelli assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private, dal giudice nel corso della udienza preliminare e non già le dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari nell’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., le quali devono perciò essere incluse nell’elenco previsto dall’art. 512 c.p.p.