Con la sentenza n. 174 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, co. 4, c.p., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, co. 1, lett. b), c.p.p., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.
La Consulta ha ritenuto fondata la questione sollevata dal G.u.p. del Tribunale ordinario di Bologna, per violazione dell’art. 3 Cost.
In linea con la recentissima sentenza n. 146 del 2022 – secondo cui l’accentuata vocazione risocializzante della sospensione del procedimento con messa alla prova si oppone alla possibilità di una messa alla prova “parziale”, ossia relativa ad alcuni soltanto dei reati contestati nel medesimo procedimento – il giudice delle leggi ha rilevato che, se tutti i reati in concorso formale ovvero commessi in continuazione (secondo le due ipotesi di connessione previste dall’art. 12, co. 1, lett. b), c.p.p.) fossero contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati avrebbero la possibilità di chiedere e di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati. Ad avviso della Corte, risulta pertanto irragionevole che, quando invece, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati in concorso formale ovvero avvinti dalla continuazione vengano contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere e ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo.
Sotto un diverso profilo, la Corte ha osservato che la preclusione censurata finisce per frustrare lo stesso obiettivo del legislatore di sanzionare in maniera unitaria i reati commessi con un’unica azione od omissione ovvero il reato continuato, secondo la regola generale posta dall’art. 81, co. 1 e 2, c.p., e di farlo anche attraverso il percorso riparativo e risocializzativo proprio della messa alla prova. I giudici costituzionali associano, dunque, la connotazione sanzionatoria della messa alla prova alla sanzione penale: per cui, giungono ad affermare che l’impossibilità di ammettere alla messa alla prova chi abbia già avuto accesso al beneficio in relazione ad altro reato commesso con una sola azione od omissione ovvero in esecuzione di un medesimo disegno criminoso si traduce nell’impossibilità di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati in concorso formale ovvero legati dalla continuazione, in contrasto con la logica del sistema del codice penale. È perciò necessario che il trattamento sanzionatorio sia commisurato unitariamente dal giudice, sempre che il secondo procedimento non sia di per sé precluso dall’art. 649 c.p., in base ai criteri di applicazione del divieto di bis in idem.
La Consulta ha infine precisato che, in conseguenza di questa declaratoria di illegittimità costituzionale, spetterà al giudice compiere, ai sensi dell’art. 464-quater, co. 3, c.p.p., una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato, tenuto conto sia della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, sia del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova. La Corte ha poi ulteriormente indicato al giudice comune che, nel caso in cui egli ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, dovrà stabilire la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque nel rispetto dei termini complessivi indicati dall’art. 464-quater, co. 5, c.p.p. per la sospensione del procedimento.