La Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 89, co. 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Catanzaro, nella parte in cui – nel prevedere che le disposizioni dei co. 1 e 2 dello stesso art. non si applicano quando si procede per il delitto di cui all’art. 74 del medesimo decreto n. 309 del 1990 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) – tale disposizione non fa salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Nella pronuncia qui pubblicata, la Consulta – oltre a rilevare come le censure del giudice a quo risultassero già disattese a seguito della sentenza cost. n. 45 del 2014 – evidenzia, altresì, l’erroneo presupposto interpretativo che inficia il petitum formulato nell’ordinanza di rimessione. Secondo il giudice a quo, infatti, la norma censurata stabilirebbe una presunzione assoluta di sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza nei confronti dell’indagato o dell’imputato del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti. In realtà, come precisa la Corte, il denunciato art. 89, co. 4, d.P.R. n. 309 del 1990 si limita a escludere i soggetti indagati o imputati di reati di particolare gravità e allarme sociale – tra cui quello considerato – dallo speciale regime cautelare delineato dai primi due commi dello stesso articolo, non introducendo, dunque, alcuna presunzione, né in ordine alla sussistenza, né in ordine al grado delle esigenze cautelari. Del resto, osserva la Corte, il legislatore ben può, nella sua discrezionalità e salvo il limite della ragionevolezza, escludere da un regime cautelare di favore, quale quello “privilegiato” di cui all’art. 89, co. 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990, i soggetti indagati o imputati per determinati reati, avuto riguardo alla loro gravità e alla pericolosità soggettiva da essi solitamente desumibile, a condizione che ciò non comporti l’assoggettamento dell’interessato ad un indiscriminato “automatismo sfavorevole”, che precluda ogni apprezzamento dei singoli casi concreti. Tale situazione non si riscontra nell’ipotesi in esame. Infatti, anche nei confronti della persona gravemente indiziata del delitto in questione, il giudice, ai sensi dell’art. 275, co. 3, c.p.p. (come modificato dalla recente legge 16 aprile 2015, n. 47), può ritenere del tutto insussistenti le esigenze cautelari ovvero può ravvisare esigenze cautelari suscettibili di essere soddisfatte, alla stregua dei criteri ordinari, con misure diverse e meno gravose della custodia carceraria. Di conseguenza, il tossicodipendente imputato del delitto in parola può comunque fruire, sulla base di una valutazione “individualizzata” della singola vicenda, condotta sul metro degli ordinari criteri stabiliti dal codice di rito, anche degli arresti domiciliari finalizzati allo svolgimento di un programma di recupero. La Corte costituzionale ha, pertanto, dichiarato la questione manifestamente infondata.
A.C.