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La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, co. 10, c.p.p., come sostituito dall’art. 11, co. 5, l. 16 aprile 2015, n. 47 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravità), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, co. 2, e 104, co. 1, Cost., dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Nola, nella parte in cui tale disposizione prevede che l’ordinanza che dispone una misura coercitiva – diversa dalla custodia in carcere – che abbia perso efficacia non possa essere reiterata salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, la Consulta ha rilevato che è ipotizzabile l’esistenza di una eccezionale situazione di pericolo che possa (e dunque debba) essere efficacemente contrastata con misure diverse dalla custodia cautelare in carcere. Il principio di adeguatezza impone, infatti, all’organo giudicante di adottare la misura che comporta per chi la subisce il minor sacrificio necessario per fronteggiare i pericula libertatis. è
E' possibile, dunque, che il giudice riscontri quelle esigenze cautelari eccezionali che a norma dell’art. 309, co. 10, c.p.p. giustificano, attraverso una specifica motivazione, l’emissione di un nuovo provvedimento cautelare, anche diverso da quello della custodia in carcere. Come ha sottolineato la Corte, la norma impugnata intende impedire che «l’ordinanza che dispone la misura coercitiva» sia «rinnovata» semplicisticamente, cioè che l’ordinanza sia riemessa con la stessa motivazione, nonostante la perdita di efficacia. La norma ha, dunque, lo scopo di contrastare prassi distorsive, verificatesi in passato, come quella dell’adozione di una nuova ordinanza cautelare prima ancora della scarcerazione dell’interessato o quella della successione di “ordinanze-fotocopia”, caducate e non controllate. Pertanto, la censura di irragionevolezza mossa dal giudice rimettente nei confronti dell’art. 309, co. 10, c.p.p. è priva di fondamento.
Altresì infondata è la censura relativa alla differenza tra il trattamento della perdita di efficacia della misura cautelare previsto dalla norma impugnata e quello previsto dall’art. 302 c.p.p., nel caso di omissione dell’interrogatorio entro il termine stabilito dall’art. 294 c.p.p.; dall’art. 13, co. 3, l. 22 aprile 2005, n. 69, nel caso in cui non pervenga il mandato d’arresto europeo; dall’art. 27 c.p.p., nel caso di misura disposta dal giudice incompetente. I casi disciplinati dagli articoli indicati in comparazione sono, infatti, completamente diversi da quello regolato dall’art. 309, co. 10, c.p.p..
Infine, secondo il Giudice delle leggi, non sussiste neppure la denunciata violazione degli artt. 101, co. 2, e 104, co. 1, Cost., perché, se è vero che l’inosservanza dei termini stabiliti dall’art. 309 c.p.p. può anche non dipendere da un comportamento del giudice, il legislatore ben può ricollegare particolari effetti ad accadimenti processuali sottratti al totale controllo dell’autorità giudiziaria, senza che ciò possa menomare la posizione del giudice, che rimane soggetto «soltanto alla legge» (art. 101, co. 2, Cost.), o incidere sulla sua indipendenza e autonomia (art. 104, co. 1, Cost.).
A.C.